Gli immuni al virus: ecco chi sono i super resistenti al Covid, che non si ammalano mai
Covid: esistono pazienti super-resistenti al virus. Ecco gli studi su chi non si ammala e le possibili spiegazioni di questo fenomeno tanto singolare.
Le infezioni da SARS-CoV-2 mostrano un'enorme variabilità interindividuale, che va da infezioni asintomatiche a malattie potenzialmente letali. Errori congeniti e autoanticorpi diretti contro gli interferoni di tipo I (IFN) rappresentano circa il 20% dei casi critici di COVID-19 tra gli individui con infezione da SARS-CoV-2. Al contrario, i determinanti genetici e immunologici della resistenza all'infezione di per sé rimangono sconosciuti.
In seguito alla scoperta che il deficit autosomico recessivo del recettore delle chemochine DARC conferisce resistenza al Plasmodium vivax, è stato dimostrato che le carenze autosomiche recessive del recettore 5 delle chemochine (CCR5) e dell'enzima FUT2 sono alla base della resistenza all'HIV-1 e ai norovirus, rispettivamente.
Sulla scorta di questi studi, i ricercatori dell’ Università di Melbourne e dalla Fondazione per la ricerca biomedica dell’Accademia di Atene, hanno condotto una ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Immunology, atta ad identificare, reclutare e analizzare geneticamente individui che sono naturalmente resistenti all'infezione da SARS-CoV-2.
La comprensione della fisiopatologia del COVID-19 potenzialmente letale è progredita considerevolmente da quando la malattia è stata descritta per la prima volta nel dicembre 2019, ma si sa ancora molto poco sulle basi genetiche e immunologiche umane della resistenza congenita alla SARS -CoV-2.
I tassi medi di attacco secondario per le infezioni da SARS-CoV-2 possono raggiungere fino al 70% , infatti in certo numero di famiglie, è successo che tutti i membri tranne uno sono stati infettati, suggerendo che alcuni individui altamente esposti potrebbero essere resistenti all'infezione con questo virus.
Suscettibilità congenita a malattie infettive potenzialmente letali
Con l'avvento della pandemia di COVID-19, è stato dimostrato che IEI – errori congeniti dell’immunità- specifici hanno un ruolo nella definizione della suscettibilità al COVID-19 grave. Il COVID Human Genetic ha riportato 23 persone in condizioni critiche con IEI in 8 loci. Sorprendentemente, quattro adulti non imparentati e precedentemente sani avevano un deficit autosomico recessivo di IRF7 o IFNAR1. Sebbene rari, gli individui con IEI dimostrano che l'immunità IFN di tipo I è indispensabile per il controllo dell'infezione da SARS-CoV-2. Studi successivi in coorti indipendenti hanno confermato la presenza di autoanticorpi neutralizzanti contro gli IFN di tipo I in oltre il 10% delle persone con COVID-19 grave.
La protezione geneticamente determinata di un individuo contro una malattia infettiva è l'immagine speculare della suscettibilità geneticamente determinata a malattie potenzialmente letali. Il termine "protettivo" viene applicato a un dato locus quando l'allele associato a un minor rischio di malattia è l'allele alternativo meno frequente. Molti meno studi genetici sulle malattie infettive si sono concentrati sugli alleli protettivi rispetto alla suscettibilità all'infezione, sia monogenica che poligenica. All'inizio degli anni '50, Anthony Allison dimostrò che il tratto falciforme HbS è mantenuto ad alta frequenza nelle aree africane dove la malaria è endemica, a causa di un vantaggio eterozigote dell'allele per fornire protezione contro gravi infezioni da Plasmodium falciparum.
L’identikit del paziente resistente
L’altro meccanismo di resistenza al virus del Covid è l’immunità preesistente, crociata da infezioni similari. Ci sono persone che resistono al Covid perché avevano contratto una precedente infezione dovuta ad altri coronavirus.
Il professore Fausto Baldanti, che analizza da mesi le varianti Covid nel laboratorio di virologia molecolare del Policlinico San Matteo di Pavia, ha spiegato sulle pagine de La Repubblica, che lui stesso, ha scoperto, da un campione di sangue che aveva prelevato tre anni fa e poi conservato, di aver prodotto una risposta immunitaria contro il Covid. Racconta di aver contratto un beta coronavirus umano che si chiama HKU1. Dunque, si stima che il 25-30% delle persone che non si infettano hanno una risposta T-cellulare residuale provocata da una infezione con un virus “parente” del Covid.