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Sicurezza sul lavoro: conosci e sai come affrontare lo stress e l' esaurimento nervoso?

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 12/04/2022 vai ai commenti

AttualitàProfessione e lavoro

Quello della sicurezza sul lavoro è un problema di grande attualità.

Secondo i dati di ILO (International Labour Organization), ogni 15 secondi, nel mondo, un lavoratore muore sul lavoro a causa di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale e, sempre ogni 15 secondi, 153 lavoratori hanno un infortunio sul lavoro.

Si stima che, ogni giorno, 6.300 persone muoiono a causa di incidenti sul lavoro o malattie professionali, causando più di 2,3 milioni di morti all’anno. Gli incidenti che si verificano annualmente sul posto di lavoro sono 317 milioni, molti dei quali portano ad assenze prolungate dal lavoro per malattia. Il costo umano di queste tragedie quotidiane è enorme e l’onere economico causato dalle scarse pratiche di messa in sicurezza dei luoghi di lavoro è stimato essere ogni anno nel 4% del prodotto interno lordo mondiale.

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Un infortunio sul lavoro è un evento dovuto ad una causa violenta ed esterna, che produce lesioni traumatiche ad un individuo durante lo svolgimento della sua attività lavorativa. E’ importante ricordare che per infortunio sul lavoro si intende anche il cosiddetto “infortunio in itinere“. Questo comprende gli infortuni occorsi al lavoratore:

  • nel tragitto per recarsi o tornare dal luogo di lavoro a casa
  • durante gli spostamenti da una sede di lavoro ad un’altra
  • nei tragitti per usufruire del pasto (nel caso in cui non sia presente una mensa aziendale)

L’infortunio è considerato tale, e quindi suscettibile ad indennizzo, se comporta la morte o inabilità per il lavoratore, permanente o temporanea, e se per esso siano necessari più di tre giorni di astensione dal lavoro.

Sono coperti anche tutti gli infortuni sul lavoro che sono direttamente causati dal lavoratore stesso per negligenza, impudenza o imperizia.
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Lo scopo di questa serie di articoli è quello di porre all’attenzione delle nostre numerose lettrici e altrettanto numerosi lettori la questione della sicurezza sul lavoro che, tra i tanti temi che ci affliggono e che sono legati al nostro quotidiano lavorativo, è sicuramente uno dei più importanti.

Ovviamente ci occuperemo di sicurezza negli ambienti sanitari, che è il tema che più ci riguarda.

Settimanalmente pubblicheremo 8 articoli, rispettando il seguente indice:

  1. Rischio biologico
  2. Rischio muscoloscheletrico parte 1: sollevamento pesi
  3. Rischio muscoloscheletrico parte 2: scivolamento e cadute
  4. Stress ed “esaurimento nervoso”
  5. Violenza e “mobbing”
  6. Orario di lavoro
  7. Abuso di sostanze
  8. Rischio chimico

 

4. Stress ed esaurimento nervoso

Al fine di assicurare un’attività sanitaria di buona qualità nelle strutture ospedaliere, gli operatori dovrebbero poter lavorare in un ambiente sano e sicuro, ed essere molto motivati.

Inoltre, secondo la definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), essi dovrebbero essere in una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, che permetta loro di sfruttare le proprie riserve di salute e potenzialità per rispondere efficacemente alle sfide dell’ambiente in cui vivono.

Ma tutti noi sappiamo che non accade realmente così.

Lo studio NEXT (Nurses’ Early Exit, studio sull’abbandono prematuro della professione infermieristica - scarica qui) ha permesso di rilevare, tra i motivi dell’abbandono precoce, l’insoddisfazione professionale: secondo lo studio, in Europa, il 15,6% degli infermieri si ritrova a pensare spesso e seriamente (più volte al mese) di cambiare lavoro.

Lo studio NEXT evidenzia inoltre che all’origine di questa propensione all’abbandono del posto di lavoro non è la professione in sé, bensì la qualità di vita nello specifico posto di lavoro.

Succede spesso, quindi, che fattori negativi, quali stress, sovraccarico di lavoro o orario di lavoro mal concepito possano innescare malesseri psichici e fisici che possono sfociare in patologie psichiche o abuso di sostanze.

Tutto ciò fu studiato da un medico austriaco, Hans Selye (1907-1982), che coniò per primo il termine “sindrome generale dell’adattamento”, come risposta agli eventi stressogeni o allo stress, in genere.

Lo stress è la risposta psicofisica ad una quantità di compiti emotivi, cognitivi o sociali percepiti dalla persona come eccessivi. Lo stress eccessivo può facilmente portare numerosi disturbi da stress.

Selye definì lo stress come “risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”. In base al modello di Selye, il processo stressogeno si compone di tre fasi distinte:

  1. fase di allarme
  2. fase di resistenza
  3. fase di esaurimento

Nella prima fase si ha una reazione di stress acuto in cui sono mobilitate le difese dell’organismo (aumento dell’attività dell’asse ipofisi-corticosurrene),  a cui segue una seconda fase (resistenza), in cui l’organismo è impegnato a fronteggiare l’agente stressante e in cui continua l’iperproduzione di cortisolo da parte del surrene, ed si conclude con una terza fase (esaurimento) che subentra quando l’esposizione allo stressor si protrae a lungo e l’organismo non riesce a mantenere più lo stato di resistenza: la corteccia surrenale entra in stato di esaurimento funzionale e si possono sviluppare patologie anche irreversibili, fino alla morte.

Nei luoghi di lavoro e, in particolar modo, nel nostro ambiente (specie in questi ultimi due anni di pandemia), siamo completamente immersi nei fattori stressogeni.

Sia per la natura dei problemi che siamo chiamati a gestire (sofferenza, dolore, malattia, morte), sia per la scarsa preparazione e capacità di gestire gruppi di lavoro di buona parte dei nostri superiori.

La percezione di essere trattati spesso più come dei numeri che come degli esseri umani è una sensazione che abbiamo tutti, chi prima, chi dopo, provato almeno una volta nella vita.

Siamo completamente immersi in un tempo caratterizzato da fretta e velocità: dobbiamo sempre tenere d’occhio la produzione (in termini quantitativi, più che qualitativi) ed essere sempre più multitasking.

Occuparci di più cose contemporaneamente, quindi, ci dona una temporanea euforia, che solletica la nostra onnipotenza, ma può condurci facilmente verso una situazione di “esaurimento”, come accade a delle batterie che si scaricano.

Ne consegue che ansia e tensione, burnout ed esaurimento sono dietro l’angolo, sempre più frequenti, e danno la misura di un logoramento psicofisico prodotto da un accumulo di stress.

Per ovviare a tutto ciò bisogna lavorare su più livelli: sia attraverso tecniche specifiche (che, perlopiù, si apprendono frequentando corsi specifici), sia segnalando il pericolo potenziale o reale di fattore stressogeno sul luogo di lavoro ai propri delegati sindacali.

Il NurSind Monza e Brianza, ad esempio, ha costruito, insieme alla psicologa Elisabetta Leon una struttura multidimensionale chiamata “Mi prendo cura di me”, che consiste in incontri formativi e informativi (sia personali che di gruppo, sia in remoto che in presenza) e anche in possibilità di counselling, attraverso specifici sportelli di ascolto. Tutto ciò per evitare che colleghe e colleghi del territorio brianzolo possano irrimediabilmente scivolare verso il burnout.

In ogni caso, non bisogna mai arrendersi fatalisticamente al concetto del “tanto non cambierà mai niente”, ma segnalare sul nascere le pericolosissime fonti di stress nei luoghi di lavoro.

 

Alla prossima settimana, per l’articolo su violenza e "mobbing".