Suicidi tra infermieri: tassi in aumento e silenzio istituzionale
Stress, stigma e mancanza di supporto: le cause dietro una crisi che il sistema sanitario continua a ignorare
Il 7 agosto 2023, Tristin Kate Smith, infermiera di pronto soccorso di 28 anni, si è tolta la vita. Sul suo computer, il padre ha trovato una lettera indirizzata al sistema sanitario di Dayton, Ohio, dove lavorava, intitolata “Lettera al mio abusatore”.
“Desidero con tutta me stessa continuare ad aiutare le persone,” scriveva. “Ogni giorno mi chiedete di fare di più con meno… Se resto, perderò la mia sanità mentale – e forse la vita – per sempre.”
Il caso di Tristin non è isolato. Gli infermieri e le infermiere si suicidano con tassi significativamente più alti rispetto alla popolazione generale. Un fenomeno documentato da anni, ma ancora sottovalutato nei luoghi di lavoro e nelle politiche sanitarie.
I numeri di una crisi
Uno studio pubblicato nel dicembre 2024 sul Journal of Nursing Administration ha analizzato i suicidi tra gli infermieri dal 2017 al 2021. I risultati sono allarmanti: chi si è tolto la vita aveva spesso alle spalle una storia di disturbi mentali, uso di sostanze e forte insoddisfazione lavorativa. Le infermiere decedute erano in prevalenza donne bianche, e sia uomini che donne risultavano più frequentemente separati, divorziati o vedovi rispetto alla popolazione generale.
Il dato più significativo riguarda le donne: le infermiere hanno tassi di suicidio molto più alti rispetto alle altre donne. Per gli uomini infermieri, invece, il tasso non si discosta da quello degli altri uomini. Secondo la ricercatrice Judy Davidson, dell’Università della California a San Diego, ciò potrebbe dipendere dalla minore numerosità del campione maschile nello studio, ma anche da possibili differenze nel trattamento riservato alle donne nei contesti sanitari.
Un sistema che scoraggia chi chiede aiuto
Uno dei problemi principali è il clima di stigma che circonda la salute mentale tra gli operatori sanitari. In molti stati americani, le domande sui moduli per la licenza infermieristica violano l’Americans with Disabilities Act (ADA), chiedendo informazioni sulla storia clinica psichiatrica passata, anziché sulle condizioni attuali o future che potrebbero compromettere la professione. Questo, secondo Davidson, crea un “effetto paralizzante”: molti evitano di chiedere aiuto per non rischiare la carriera.
Un esempio drammatico è quello della dottoressa Lorna Breen, medico di pronto soccorso morta per suicidio nei primi mesi della pandemia. Aveva confidato alla famiglia di temere che cercare aiuto psicologico avrebbe compromesso il lavoro per cui aveva sacrificato tutto.
Cosa si può fare
La Dr. Lorna Breen Heroes’ Foundation ha pubblicato un toolkit per aiutare stati e organizzazioni sanitarie a riformulare i moduli di assunzione e abilitazione, eliminando le domande intrusive sulla salute mentale.
Inoltre, il Dr. Lorna Breen Health Care Provider Protection Act – una legge del 2022 che finanzia progetti di prevenzione del suicidio tra operatori sanitari – è ora in attesa di essere rinnovata dal Congresso. “Gli infermieri possono fare la differenza scrivendo ai senatori per chiedere un voto favorevole,” ha dichiarato Davidson.
C'è anche bisogno di ripensare come il sistema sanitario affronta le dipendenze da sostanze tra gli infermieri e i programmi di gestione della deviazione di farmaci, spesso più punitivi che riabilitativi.
Dietro ogni divisa c’è una persona che cura, ascolta, tiene insieme vite nel caos. Ma troppo spesso chi salva gli altri resta invisibile quando si tratta di salvare se stesso. Parlare apertamente del suicidio tra gli infermieri non è solo un atto di giustizia: è un passo necessario per cambiare il sistema dall’interno.