Luca Sinibaldi, Infermiere, risponde alle "Dieci Domande"
Luca Sinibaldi, Infermiere presso la 5 Medicina dell’Aoup di Pisa risponde alle “Dieci Domande”
Pensare la nostra professione per la nostra professione: DIECI DOMANDE AGLI INFERMIERI
Progetto InfermieristicaMente - NurSind
a cura di Chiara D'Angelo
Risponde Luca Sinibaldi, Infermiere
1. Quali sono per te i problemi più rilevanti che oggi hanno gli infermieri
- Subiamo una scarsa rilevanza sociale perché siamo una professione nata e a tutt’oggi costituita prevalentemente da donne (la cura è forse più istintiva nel genere femminile) in un contesto generale che qui in Italia non ha ancora risolto la discriminazione di genere sul lavoro.
- La Sanità Pubblica è secondo me un grande valore. Ma qui in Italia ha però incastrato gli infermieri in una sorta di limbo istituzionale all’interno del quale la nostra professione non ha potuto sviluppare la capacità autonoma di offerta, per contro è rimasta coinvolta in modo determinante da tutte le problematiche che si sono succedute rispetto al rapporto tra pubblico e privato e l’evoluzione mancata del sistema pubblico italiano.
- I due precedenti punti hanno condizionato fortemente le scelte politiche della Federazione dei Collegi. Intanto, rendendola assolutamente incapace di essere fattivamente autrice di una propria proposta di politica sanitaria generale e specifica per la professione. Si è seguito allora un nastro, che era quello della politica sanitaria medico-centrica. Si è inserito l’infermiere in un mondo universitario (che doveva a sua volta essere riformato) assolutamente inadeguato ad accogliere la cultura infermieristica. La cultura infermieristica non nasce in Italia e non è quindi una semplice idea discrezionale che possa essere modificata a piacimento dalle scelte programmatiche dei vari Ministri o dei vari Rettori nelle istituzioni del nostro paese, accorpando in modo a dir poco semplificato il percorso di studi di infermieristica a quello delle facoltà di medicina e chirurgia.
Tutti gli altri problemi, a partire da quello dei riconoscimenti sociali ed economici per finire con l’evidente degrado culturale sostanziato pragmaticamente con il diffuso demansionamento, derivano dalle tre precedenti considerazioni. Un problema su tutti però voglio rilevare: la drammatica diaspora avvenuta con l’avvento dell’aziendalizzazione e la nascita delle dirigenze infermieristiche. I Dirigenti Infermieristici si sono sentiti sempre più… altro, scorporati dal percorso professionale, come se l’organizzazione del lavoro potesse essere eletta, in modo a se stante, al rango di Professione. E con loro i consiglieri e presidenti dei collegi provinciali, essendo molti di loro (in chiaro conflitto di interessi) dirigenti aziendali.
La rappresentanza Istituzionale degli infermieri va riformata. Forse anche tutti gli altri ordini andrebbero rivisti in senso generale, provenendo tutti da leggi datate e mai revisionate (dal 1940 con revisione nel 1954).
2. Come risolvere questi problemi, cioè con quali idee, proposte e progetti
a) Il Collegio nazionale, quelli provinciali, il sindacato di categoria svolgano una azione di promozione del valore del lavoro femminile, sviluppino forme di controllo e di denuncia laddove le condizioni di lavoro non contemplino le opportune forme di tutela, garantiscano la giusta progressione e il giusto riconoscimento culturale e professionale senza distinguo di genere, valutino più in generale se l’infermieristica in Italia non sia subdolamente infiltrata dalla visione medicalizzata della cura, improntata alla massima specializzazione e al tecnicismo, dando maggiore valenza agli aspetti psico-relazionali.
b) ll lavoro in regime privatistico o in regime pubblico decentrato non è mai stato a sufficienza incentivato. Eppure, in questi anni di assoluta carenza di copertura assistenziale a livello territoriale, sarebbe potuto essere una risorsa importante tanto per il cittadino che per gli infermieri oggi disoccupati a migliaia, se solo per tempo si fosse sviluppato un decente mercato del lavoro. Ancora una volta è necessario chiamare in causa i Collegi provinciali e la federazione, chiedersi ad esempio quale tipo di supporto concreto e diffuso abbiano saputo dare agli infermieri che volessero intraprendere la libera professione. Serve quindi una politica che non continui ad accentrare il lavoro infermieristico ma piuttosto finalmente a spalmarlo sul territorio, là… nelle case della gente, non più tra le mura falsamente protettive dell’ospedale ma tra quelle della accoglienza dei cittadini. Serve rivendicare la necessità di rendere certi contratti più flessibili, ma non di quella flessibilità che si preoccupa di avere più facilità al licenziamento o allo spostamento da una sede all’altra (ma sempre tra le stesse mura d’ospedale), serve una flessibilità organizzativa che sappia farci operatori del dentro e del fuori, per una continuità assistenziale vera!
c) Rivalutare la presenza dell’Infermieristica all’interno dell’Università italiana. Nel travaso didattico è lecito pensare che si sia persa molta specificità, molta identità culturale, che era più tipica della Scuola Infermieri Regionale. La Federazione dovrebbe fare molta pressione sul Ministero dell’istruzione allo scopo di ottenere corsi di infermieristica autonomi e autonomamente condotti.
d) Il nostro codice deontologico porta in se delle contraddizioni e delle mancanze più volte rilevate. Ma una credo non sia mai stata sottolineata a dovere, quella relativa il possibile conflitto di interessi che potrebbe insorgere allorquando un dirigente infermieristico si trovi a svolgere la sua azione per l’interesse particolare di una azienda. Senza questo vincolo diventa praticamente impossibile risolvere qualsiasi tipo di controversia che si instauri tra le dirigenze aziendali e il mondo infermieristico. Rivolgersi al Collegio diventa risibile, rivolgersi a una procura del lavoro rischia di essere un autogol della professione, dovendo denunciare alla fine il dirigente del proprio profilo. E anche qui appare evidente la mancanza di autonomia propositiva, trovandoci come professione a scimmiottare regole e codici deontologici altrui. Se medici, avvocati, notai e quanti altri, non ritengono necessario inserire nel proprio codice deontologico una norma così restrittiva questo non deve impedirci come professione di fare da apri strada per una cultura nuova del lavoro.
e) La federazione IP AS VI raccoglie più di una professione. C’è da chiedersi se allo stato attuale le esigenze di confine professionale e di rivendicazione sociale delle rispettive figure corrisponda ad un cammino comune. C’è da chiedersi se l’evoluzione ad Ordine possa essere risolutiva per una maggiore rappresentanza, una maggiore tutela professionale, un maggiore riconoscimento anche economico. Invece, quello che è successo in questi anni deve farci riflettere. Purtroppo tendiamo sempre a prendere a paragone la professione medica… e il suo ordine. Ma in questi anni mi pare che se certe tutele professionali ci sono state, certe rivendicazioni di immagine e di spessore culturale sono state portate avanti, queste si devono al sindacato di categoria. Io penso quindi che il sindacato di categoria debba finalmente evolvere in una nuova forma di associazionismo che discuta certo i contratti e i suoi aspetti meramente economici ma assolva anche alla funzione di stimolo e di indirizzo politico della categoria che rappresenta. E di fatto in questi ultimi anni è stato così. A che ci serve allora un doppione, solo per tutelarci dai falsi infermieri e garantire i limiti delle tariffe per le prestazioni?
3. Quali soluzioni organizzative si dovrebbero adottare per mettere in campo una qualche azione collettiva
Conoscendo più approfonditamente Nursind ritengo che dovrebbe farsi carico di riunire le forze disponibili e disposte a discutere di queste problematiche per trovare una strategia comune tesa a diffondere la conoscenza di questi problemi e delle loro possibili soluzioni. Come professione, come singoli, siamo assolutamente dispersi. Ma sono molto disperse anche le associazioni, i sindacati, i gruppi che in qualche modo discutono delle nostre problematiche.
4. Quali iniziative collettive si renderebbero necessarie
Se ne potrebbero prendere in considerazione diverse. Intanto… ritengo che lo sciopero sia da sempre stato per noi uno strumento di difficile applicazione e comunque di scarso impatto. Tuttavia… lo sciopero è anche l’indice della consapevole situazione di disagio e del senso di unità di categoria, quindi, non lo tralascerei come forma simbolica da abbinare sempre a denunce proposte attraverso i media.
In diverse occasioni è stato scritto che il dettato legislativo del profilo infermieristico non è attinente al reale operare degli infermieri a causa delle condizioni di demansionamento cui sono sottoposti reiteratamente. Ritengo allora che i sindacati dovrebbero sostenere e tutelare i singoli disposti a sporgere denunce presso le procure del lavoro. Credo (da valutare con operatori competenti) che in alcuni casi sia possibile anche avanzare azioni legali collettive. I Collegi Provinciali, impugnando il Codice Deontologico, potrebbero essere i primi fautori di tali denunce.
5. “Unità, Progetto, Politica” per te cosa significano
Questo punto potrebbe essere affisso a grandi caratteri nella sede della Federazione dei Collegi (con l’aggiunta della parola “Rappresentatività”)
6. Cosa pensi della proposta di organizzare gli Stati Generali degli Infermieri
Penso che siano fondamentali. Penso però che si renda necessario crearne i presupposti per evitare che si traducano in un fallimento progettuale.
7. Cosa si dovrebbe fare per prepararli adeguatamente
Una delle cose fondamentali è quella di riportare la discussione tra gli infermieri. Il compito sarà arduo ma non abbiamo via di scampo. Per farlo occorre che chi ha più olio nel lume non lo razioni perché il momento è topico. Quindi… presidenti di collegio illuminati, dirigenti infermieristici illuminati, docenti, accademici… non lesino le loro parole, gli articoli sulle riviste specializzate, attraverso i social. Devono partire iniziative che coinvolgano direttamente gli infermieri sparsi sul territorio e negli ospedali. Si fanno corsi di aggiornamento attrattivi per i meriti ECM, in questi aggiornamenti si agganci al tema specifico anche la discussione politica. Si costituiscano gruppi di scopo, formati in modo trasversale, da tutti coloro si sentano investiti del problema. Si prepari un questionario o un percorso di questionari che introducano alle domande principali alle quali si dovrà dare risposta nei plausibili Stati Generali. Chiunque lo ritenga, incalzi la federazione, la metta alle strette perché senta con determinazione la richiesta di cambiamento che nasce dal basso.
8. Sintetizza in tre parole quello che chiederesti ai Collegi
“Unità, Progetto, Politica”
9. Sintetizza in tre parole quello che chiederesti ai Sindacati
Certezza, Coerenza, Coraggio
10. Mi descrivi succintamente la tua idea di infermiere del terzo millennio
Un cittadino lavoratore dotato di una predisposizione personale alla cura, motore di spinta continua alla progressione culturale (filosofica, tecnica e scientifica) che lo rende capace di incidere positivamente sulla qualità di vita della persona.
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