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Sassari: il caso di due vecchietti, demolisce la riforma del Servizio Sanitario Regionale

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 21/12/2017 vai ai commenti

AttualitàNurSind dal territorioSardegna

La storia è comparsa qualche giorno fa sul quotidiano locale di Sassari ma non ha scatenato le polemiche che ci si aspetterebbe in un caso del genere. Il bacio nell'armadio al Grande Fratello, ha certamente smosso più animi. Ma non abbiamo la pretesa che la vicenda dei due anziani protagonisti di questa storia susciti tanto clamore, sia mai. Un episodio avvenuto, in un contesto, quello sardo, appena riformato, in cui le polemiche, le critiche, il clamore e l'indignazione di cui solo la politica a volte sa essere protagonista, sono mancati come la pioggia nell'anno più secco che si ricordi. Come nel caso della nomina del Direttore Generale dell'Agenzia per le Emergenze e Urgenze Areus che ha smosso le coscienze critiche di tutti gli schieramenti, da destra a sinistra, in una finta e ridicola guerra a chi fosse più indignato e a chi urlasse più forte il nome di questo o quel candidato. Perché quello dell'Areus era l'atto conclusivo alla riforma, il tassello che mancava perché tutto avesse pieno compimento e finalmente i cittadini sardi avessero cure di qualità.

Fatta la Asl Unica, riformata la rete ospedaliera, avviata l'Areus, non manca più nulla e tutto può essere risolto. C'è proprio da chiedersi in che modo questi atti rivoluzionari andranno ad incidere sulla vicenda che stiamo per raccontarvi e come sia possibile che il livore che ne ha caratterizzato i passaggi, non sia esploso vigoroso per questa storia. Tutti zitti insomma. E d'altronde cosa può dire un politico difronte a un titolo di giornale che denuncia un "sequestro" di due anziani che non possono essere dimessi?

Ricoverati in lungodegenza da maggio l'uno e da agosto l'altro, clinicamente ristabiliti, allettati, non possono tornare a casa perché uno non ha familiari, mentre quelli dell'altro non sarebbero in grado di gestire l'assistenza, "complicata" da una colonizzazione da Klebsiella che impone alcune semplici e banali norme igienico comportamentali. Attenzioni che sembrano mettere in crisi i bilanci personali e le Rsa che dovrebbero prenderli in carico, posto che la media complessità assistenziale determina una compartecipazione alle spese che l'uno non si può permettere mentre potrebbe mandare a rotolii conti dei familiari dell'altro.

E così questi due giovanotti rimangono ricoverati nel reparto di lungodegenza, coccolati, ben voluti, assistiti impeccabilmente dal personale, determinati a festeggiare un Natale che ormai desiderano trascorrere proprio insieme a chi in questi lunghi mesi si è occupato di loro,in attesa che la burocrazia trovi una soluzione. Una soluzione al loro caso come a quello di tanti altri che passato il periodo di acuzie e arrivati alla stabilizzazione completa, hanno difficoltà a trovare la risposta a una esigenza assistenziale che non ha bisogno di svolgersi all'interno di un ospedale ma non trova risposte adeguate sul territorio.

Ecco allora che non può sorprendere il totale silenzio di questi giorni di tutte le istituzioni. Un silenzio assordante da parte dell'Azienda Ospedaliero Universitaria e dell'Azienda Tutela Salute che non hanno smentito un sola virgola di quanto riferito sul giornale a dimostrazione del fatto che la vicenda corrisponde a piena verità. Non un cenno da parte di un solo politico, dell'assessore o chiunque altro abbia in mano le leve della soluzione.

E' proprio su questo silenzio che va a schiantarsi e a disintegrarsi tutta la riforma del Servizio Sanitario Regionale. Si frantuma e si polverizza tutto l'impianto di fronte a un caso che dimostra quanto il sindacato degli infermieri ed io personalmente sostengo da sempre e cioè che la ristrutturazione partiva dal tetto anziché dalle fondamenta. Oggi il bel tetto fatto di manager plenipotenziari, super pagati, proseguendo nella riorganizzazione della rete ospedaliera e arrivando alla nuova azienda che si occupa di emergenza, crolla al suolo come tutti i tetti costruiti senza perizia, poggiati su muri di cartongesso affondati nel fango.

Le fondamenta dicevamo, quelle che non si sono volute costruire, rifondare o consolidare se si preferisce, come primo passo. Necessario, perché è nel terreno su cui poggia la riforma che si doveva intervenire prioritariamente. Perché siamo stufi di dirlo che è il territorio la parte carente del sistema e il caso dei nostri anziani sta li a dimostrarlo. L'ospedale è una macchina costosa che funziona e ci mancherebbe ma quando ha finito la sua missione, sul terreno non c'è nulla e nessuno che si prenda cura dei pazienti, un luogo dove possano terminare la degenza se necessario, un luogo dove essere assistiti con una presa in carico olistica della persona, un luogo dove un infermiere di famiglia case manager prenda in carico l'individuo e si occupi del suo percorso, ricorrendo a tutte le risorse che sul territorio si dovrebbero trovare agevolmente: assistenza domiciliare, prestazioni ambulatoriali, residenze sanitarie e reparti a bassa intensità di cure a conduzione infermieristica.

Queste sono le fondamenta su cui si sarebbe dovuto costruire il resto dell'impianto, compresa una riorganizzazione dei nosocomi che allora avrebbe avuto senso e avrebbe potuto essere molto più incisiva e compresa dai contribuenti. Se la copertura assistenziale del territorio avesse avuto priorità, ci saremmo risparmiati tanti mal di pancia sulla necessità di riorganizzare davvero la rete ospedaliera e sopratutto, i nostri due vecchietti non sarebbero ancora in ospedale loro malgrado, ad occupare posti letto preziosi per qualche altro caso costretto invece a stazionare in un corridoio, sopra una barella come tante volte denunciato dagli operatori e dai loro rappresentanti, sindacali e per la sicurezza.

Questa vicenda è il suggello di un fallimento annunciato, un fallimento che ha nelle scelte politiche la sua causa e nei politici, autori di quelle scelte, i responsabili più noti.

Andrea Tirotto

 

La Nuova Sardegna