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Quarant’anni fa Basaglia liberò matti e infermieri

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 01/11/2018 vai ai commenti

Nursing

di Vincenzo Sarjan Raucci

 

Esattamente quarant’anni fa veniva promulgata la legge 180, la cosiddetta “Legge Basaglia”, che dava l’avvio ad una straordinaria riforma (più unica che rara, in tutto il mondo) che avrebbe stravolto il sistema di gestione del “curare” e del “prendersi cura” in Salute Mentale.

Una delle tante operazioni, metafora e simbolo di un’intera riforma, fu senz’altro la chiusura dei Manicomi (più precisamente degli Ospedali Psichiatrici). Con la chiusura delle strutture e l’apertura dei cancelli fu posta in libertà tanta varia umanità: medici, pazienti, infermieri, impiegati, psicologi, cuochi, portinai, e così via… Ognuno di loro avrebbe dovuto riformulare e ritarare la propria vita, personale e lavorativa, sulla base della sopraggiunta “libertà”.

Per quasi tutti fu un’operazione piuttosto semplice: gli psicologi continuarono a fare gli psicologi, gli impiegati continuarono a fare gli impiegati, i medici continuarono a fare i medici. Quasi tutti continuarono a fare, anche se a condizioni e contesti diversi, ciò che già facevano prima.

Tutti tranne due categorie, ovvero quelle che hanno dovuto pagare forse il prezzo più alto della riforma: i pazienti e gli infermieri.

I primi, smarriti, disorientati, euforici per l’aria nuova che respiravano ma, contemporaneamente, preoccupati per un futuro pieno di incognite.

Gli infermieri, allo stesso tempo, erano… smarriti, disorientati, euforici per l’aria nuova che respiravano ma, contemporaneamente, preoccupati per un futuro pieno di incognite!

Stesse inquietudini, stessi stati d’animo!

Non tutti, per carità.

Molti, moltissimi infermieri, prima ancora del 1978, prepararono il cambiamento, anzi: in diverse occasioni furono proprio loro i primattori. Come ad esempio il gruppo degli otto infermieri del Padiglione 25, storica sezione dell’istituto manicomiale Santa Maria della Pietà, di Roma.

Oppure gli infermieri di Arezzo, incoraggiati dal basagliano dott. Pirella, forti degli echi di rivoluzione che provenivano da Gorizia e Trieste.

Non tutti, quindi, ma molti, moltissimi si ritrovarono improvvisamente orfani di una struttura a suo modo protettiva, ordinata e rassicurante: il Manicomio.

In quel posto l’infermiere era riuscito a costruire una propria dimensione lavorativa.

Nonostante gli fosse vietato leggere le cartelle, parlare con i familiari dei pazienti, prendere iniziative con i degenti, in fondo percepiva uno stipendio, il lavoro non era particolarmente impegnativo (se non in una dimensione “fisico-contenitiva” e di controllo) e, partecipando alle attività occupazionali insieme ai pazienti, magari avrebbe imparato anche un secondo mestiere!

Molti infermieri dei manicomi erano abili falegnami, fabbri, idraulici!

Poi arrivò la riforma e la chiusura dei Manicomi. Liberi tutti!

Gli infermieri, come dicevo, non riuscirono a ricostruire una propria identità. Non subito, almeno.

All’interno dei Servizi non è infrequente vederli, ancora oggi, esercitare un ruolo “custodialistico”, anche perché le altre professionalità (Psichiatri, Psicologi, Educatori Professionali, e così via) hanno saputo ben definire, nel tempo, i loro specifici ruoli professionali, tanto che all’infermiere è sembrato non restare null’altro di cui occuparsi.

Tanto che talvolta capita di incontrare, ancora oggi, infermieri evolutisi in piccoli psichiatri, in piccoli psicologi, in piccoli educatori professionali, e così via.

Fortunatamente oggi, da più parti, si sta assistendo ad una vera e forte definizione di competenze degli infermieri in Salute Mentale sia grazie al recupero e alla rilettura della nostra storia psichiatrica, anche manicomiale, sia grazie all’avvio di numerose opportunità di crescita.

Sempre più spesso le Università propongono percorsi di Master in Infermieristica di Salute Mentale. Da poco più di un anno è nata una società scientifica, la SISISM (Società Italia di Scienze Infermieristiche in Salute Mentale) che ha tra le finalità statutarie quella di “…chiarire e approfondire, all’interno del panorama professionale, il contributo fornito alla salute dei cittadini dagli infermieri che operano nel campo della Salute Mentale…”.

Oggi, all’infermiere di Salute Mentale, vengono poste molte sfide e proposti numerosi ambiti operativi: case management, gestione della recovery, percorsi riabilitativi, interventi psicoeducativi, triage psichiatrico e così via. In fondo, come diceva Virginia Henderson (1897-1996), “…il momento riabilitativo, vero fulcro, in salute mentale, è l’oggetto di studio ed intervento dell’infermiere…”.

Una nuova libertà, quindi, ci attende; non più quella dalle catene fisiche, dalle chiavi e dalle serrature del Manicomio, ma quella dalle più subdole "catene invisibili" dove, a fronte di una dichiarata e apparentemente riconosciuta professionalità, si continua a restare ancorati ad interventi di tipo ancillare, ora dello psichiatra, ora dello psicologo, ora delle altre professioni che operano in Salute Mentale.