La frase più pericolosa in assoluto è ‘Abbiamo sempre fatto così’
Ho rubato, per confezionare il titolo di questo articolo, una frase di Grace Murray Hopper (1906-1992), una matematica, informatica e militare statunitense definita da molti una pioniera della programmazione informatica.
Quante volte ci siamo scontrati, nei luoghi di lavoro che abbiamo frequentato, con colleghe e colleghi che ci bloccavano ogni volta che avevamo l’ardire di proporre un cambiamento, un’innovazione?
Castravano il nostro estro creativo, la nostra voglia di apportare migliorie, il nostro interesse a far funzionare meglio le cose chiudendo ogni possibilità di dialogo con un laconico “Abbiamo sempre fatto così”.
Eppure sappiamo tutti che, talvolta, le organizzazioni sviluppano dei comportamenti che diventano con il tempo disfunzionali. Si tratta di comportamenti che vengono adottati per rispondere ad una situazione e sono assolutamente efficaci in quel contesto. In seguito il comportamento ripetuto diventa abitudine e si radica nella nostra quotidianità, diventa quasi automatico. Poi il contesto cambia, il comportamento non è più efficace ma l’abitudine è più forte e quindi non ci si interroga più se è utile o meno quello che stiamo facendo.
La frase “Abbiamo sempre fatto cosi” è pericolosa e deleteria perché impedisce di vedere le opportunità che il cambiamento può offrire.
Le decisioni delle aziende, ma anche quelle personali, dipendono moltissimo dal contesto in cui viviamo e il contesto cambia: cambiano i clienti, le loro esigenze, i nostri collaboratori, le norme e le leggi. Cambiano i nostri obiettivi. Quindi bisogna prendere atto che a volte cambiare è necessario. Non solo, ma spesso, cogliendo in maniera adeguata la necessità di cambiare, si riescono a raccogliere opportunità impensabili prima.
Quindi non bisogna farsi sopraffare dalla paura del cambiamento ma cercare di realizzarlo.
Per meglio riflettere sul pericolo dell’immobilismo, vi voglio riportare, qui di seguito, un brano di Italo Calvino (1923-1985) tratto da “Le città invisibili” (1972). Parla di una città chiamata Zora…
“Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l’ha vista una volta non può più dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un’immagine fuori del comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari.
l suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare una sola nota.
L’uomo che sa a memoria com’è fatta Zora, la notte quando non può dormire immagina di camminare per le sue vie e ricorda l’ordine in cui si succedono l’orologio di rame, la tenda a strisce del barbiere, lo zampillo dai nove schizzi, la torre di vetro dell’astronomo, l’edicola del venditore di cocomeri, la statua dell’eremita e del leone, il bagno turco, il caffè all’angolo, la traversa che va al porto.
Questa città che non si cancella dalla mente è come un’armatura o reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare: nomi di uomini illustri, virtù, numeri, classificazioni vegetali e minerali, date di battaglie, costellazioni, parti del discorso.
Tra ogni nozione e ogni punto dell’itinerario potrà stabilire un nesso d’affinità o di contrasto che serva da richiamo istantaneo alla memoria. Cosicché gli uomini più sapienti del mondo sono quelli che sanno a mente Zora.
Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a sé stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l’ha dimenticata”.
Zora è la città immobile, tutto di lei deve restare impresso nella memoria. Ma la vita è movimento per questo Marco Polo, messosi in viaggio per raggiungerla, non l’ha mai trovata: obbligata a restare simile a se stessa perché niente si perdesse di lei, Zora si era spenta, scomparsa dalla Terra, dimenticata.
Uomini e cose sono soggetti a cambiamenti. Cercare di conservare inalterata la propria immagine è impossibile, si rischia il logoramento, l’oblio, l’estinzione.