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Proverbi e Salute Mentale: rosso maledetto

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 23/07/2024 vai ai commenti

La nostra storia

L’Enciclopedia Treccani definisce il proverbio “Breve motto, di larga diffusione e antica tradizione, che esprime, in forma stringata e incisiva, un pensiero o, più spesso, una norma desunti dall’esperienza”.

Usato da sempre e in tutte le culture, esso non tramanda, però, né un sapere consolidato né tantomeno dogmatico, ma offre, a seconda delle situazioni o dei contesti storici, stimolanti chiavi di lettura di ciò che accade.

Lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616) diceva che i proverbi sono le “frasi corte disegnate dalle esperienze lunghe”, ovvero dalle esperienze dei popoli, tant’è che di modi di dire è impregnata la storia di tutte le culture, ad ogni latitudine.

La storia dei proverbi è più antica di qualsivoglia, primordiale forma di scrittura, anzi: proprio per la sua capacità di restare impresso, ora come monito, ora come insegnamento, il proverbio può considerarsi uno dei primissimi tentativi (ben riuscito, visti i risultati) di tramandare, all’interno di sistemi interpersonali e intergenerazionali, norme e regolamenti di vita; tant’è che se ne rinviene un ampio uso sia nella tradizione ebraica che in quella araba.

Tuttavia, non possono essere presi ad esempio per tramandare verità assolute, data la singolare proprietà di smentirsi l’un l’altro. Si prenda, come esempio, il detto “Chi fa da sé, fa per tre” che contrasta palesemente con quello che recita “L’unione fa la forza”, oppure i proverbi contraddittori “Chi troppo vuole nulla stringe” e “Chi non risica non rosica”.

Insomma: nulla di troppo serio, ma nemmeno di troppo leggero… questo è lo spirito col quale mi accingo a proporvi questa raccolta di proverbi dialettali italiani, aventi per protagonisti i “matti”. Così come i proverbi ci raccontano le “esperienze dei popoli”, allo stesso modo vorrei raccontarvi, attraverso questa raccolta, l’esperienza dei popoli rispetto al tema della salute mentale.

Fondendo, cioè, la tradizione, l’esperienza, i luoghi comuni, i detti e i non detti, la storia, la filosofia, le leggende dipingerò un inedito quadro, neanche troppo astratto, che parli di follia.

Parlando di quadri, credo proprio che la follia la possiamo paragonare ad un quadro astratto, dove l’autore dipinge ciò che sente ed ognuno ci vede ciò che vuole.

Analizziamo, ora, un proverbio del Veneto:

“ROSO DE PEO, MATO DE SERVEO” (Rosso di capelli, matto di cervello).

Una diffusa credenza, vecchia come il mondo, ritiene che le persone coi capelli rossi (caratteristica che si chiama “rutilismo”) siano facilmente irascibili, se non addirittura più inclini di altri agli atteggiamenti litigiosi o violenti. Nell'antico Egitto si consideravano i “rossi” come discendenti di Seth e si attribuiva loro una maggiore ferocia.

Nel medioevo al rutilismo si associava una degenerazione morale caratterizzata da un desiderio sessuale molto forte, quasi bestiale.

Nel “Malleus Maleficarum”, Il più importante trattato antistreghesco di fine Quattrocento, si scriveva che avere i capelli rossi era segno dell’essere una strega, un lupo mannaro o un vampiro.

Ne “Il giovane Holden” (1951) Jerome David Salinger (1919-2010) scriveva che “…le persone coi capelli rossi diventano pazze molto facilmente…”, mentre Giovanni Verga (1840-1922), in “Rosso Malpelo” (1878) narrava di un ragazzo che lavorava in una cava di rena rossa.

Inasprito da pregiudizi che la mentalità popolare attribuiva a chi aveva i capelli rossi, non trovava affetto nemmeno dalla madre che non si fidava di lui e lo sospettava di rubare soldi dallo stipendio che portava alla famiglia.

Infine, Cesare Lombroso (1835-1909) e Guglielmo Ferrero (1871-1942) cercarono di dare a questa credenza popolare una valenza scientifica, concludendo che i capelli rossi si associavano ai delinquenti, autori di crimini a sfondo sessuale.

E, parlando di proverbi o modi di dire, eccovi una piccola selezione: a Milano si dice “Ul pusè bun di russ, l'ha sgiacàa so pà in dal puss” (il più buono dei rossi ha buttato suo padre nel pozzo); allo stesso modo a Bergamo “Ol piö bù di ròss, l’a bötàt ol sò pàder ‘ndel fòss”. Piccola variante in Veneto, dove si afferma “El più bon dei rossi l’ha copà so pare...” (il più buono dei rossi ha ucciso suo padre…).

In Toscana, invece, dicono che “Di pelo rosso non son boni nemmeno i maiali” mentre, in Brianza, sono convinti che “Rossa de cavei, golosa d’usei” (rossa di capelli, golosa d’uccelli).