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Proverbi e Salute Mentale: infermieri carcerieri

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 26/09/2024 vai ai commenti

La nostra storia

L’Enciclopedia Treccani definisce il proverbio “Breve motto, di larga diffusione e antica tradizione, che esprime, in forma stringata e incisiva, un pensiero o, più spesso, una norma desunti dall’esperienza”.

Usato da sempre e in tutte le culture, esso non tramanda, però, né un sapere consolidato né tantomeno dogmatico, ma offre, a seconda delle situazioni o dei contesti storici, stimolanti chiavi di lettura di ciò che accade.

Lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616) diceva che i proverbi sono le “frasi corte disegnate dalle esperienze lunghe”, ovvero dalle esperienze dei popoli, tant’è che di modi di dire è impregnata la storia di tutte le culture, ad ogni latitudine.

La storia dei proverbi è più antica di qualsivoglia, primordiale forma di scrittura, anzi: proprio per la sua capacità di restare impresso, ora come monito, ora come insegnamento, il proverbio può considerarsi uno dei primissimi tentativi (ben riuscito, visti i risultati) di tramandare, all’interno di sistemi interpersonali e intergenerazionali, norme e regolamenti di vita; tant’è che se ne rinviene un ampio uso sia nella tradizione ebraica che in quella araba.

Tuttavia, non possono essere presi ad esempio per tramandare verità assolute, data la singolare proprietà di smentirsi l’un l’altro. Si prenda, come esempio, il detto “Chi fa da sé, fa per tre” che contrasta palesemente con quello che recita “L’unione fa la forza”, oppure i proverbi contraddittori “Chi troppo vuole nulla stringe” e “Chi non risica non rosica”.

Insomma: nulla di troppo serio, ma nemmeno di troppo leggero… questo è lo spirito col quale mi accingo a proporvi questa raccolta di proverbi dialettali italiani, aventi per protagonisti i “matti”. Così come i proverbi ci raccontano le “esperienze dei popoli”, allo stesso modo vorrei raccontarvi, attraverso questa raccolta, l’esperienza dei popoli rispetto al tema della salute mentale.

Fondendo, cioè, la tradizione, l’esperienza, i luoghi comuni, i detti e i non detti, la storia, la filosofia, le leggende dipingerò un inedito quadro, neanche troppo astratto, che parli di follia.

Parlando di quadri, credo proprio che la follia la possiamo paragonare ad un quadro astratto, dove l’autore dipinge ciò che sente ed ognuno ci vede ciò che vuole.

Analizziamo, ora, un proverbio della Liguria:

CO-I MATTI GHE VÊU Ö BRÜGO (Con i matti ci vuole la scopa di erica).

Purtroppo, la storia dei manicomi ci consegna medici e infermieri dediti a reprimere, più che a curare.

In un film di Silvano Agosti (1938), intitolato “La seconda ombra” (2000), un paziente dice "Quando gli infermieri mi massacravano di botte con la pretesa di curarmi, io mi rifugiavo nella mia seconda ombra, e non sentivo il dolore”.

La brutalità e gli orrori infiniti, perpetrati ai danni delle persone internate nei manicomi è ben nota, ormai, a tutti: cancelli, inferriate, porte chiuse, catene, lucchetti, serrature imperavano sovrani. In questi luoghi le cosiddette “cure” erano rappresentate da contenzione al letto, camicia di forza, bagni freddi, elettroshock, lobotomia.

Scrive Vittorino Andreoli (1940) nel suo libro “I miei matti” (2004) “Fino ai primi anni Cinquanta, infatti, il sistema più semplice per controllare i folli era quello di immobilizzarli, in modo da contenere la pericolosità. Questo era possibile legandoli alla sedia o al lettino utilizzando stringhe, polsini e cavigliere, oppure imbrigliandoli nella camicia di forza, un indumento di tessuto molto resistente le cui maniche lunghe un metro e sessanta venivano incrociate sul petto e poi annodate dietro lo schiena, così da rendere impossibile qualsiasi movimento. Quando anche lacci e camicie risultavano però inefficaci contro la furia del malato, si procedeva al suo isolamento: l’uomo o la donna, completamente nudi per evitare che si facessero del male con i vestiti venivano portati in minuscole stanzette spoglie con le pareti imbottite, vere e proprie celle con porte dotate di spioncino. E qui restavano a sfogare la propria rabbia finché, stremati, non si tranquillizzavano”.

Cattivi infermieri o infermieri cattivi? Non saprei dire; forse unicamente infermieri vittime del “sistema”, che li voleva “guardiani dei matti” e che li selezionava solo in base alla loro prestanza fisica e a pochissime altre caratteristiche, che nulla avevano a che vedere con il loro curriculum formativo e professionale.

 

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Eccoli qui, in ordine di pubblicazione:

1) Maggio di matti e somari

2) Rosso maledetto

3) Quel pazzo di Ulisse

4) Le uova di Giorgio Cattaneo

5) Madri assassine

6) Fumare fa impazzire?

7) Infermieri carcerieri