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Proverbi e Salute Mentale: quel pazzo di Ulisse

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 01/08/2024 vai ai commenti

La nostra storia

L’Enciclopedia Treccani definisce il proverbio “Breve motto, di larga diffusione e antica tradizione, che esprime, in forma stringata e incisiva, un pensiero o, più spesso, una norma desunti dall’esperienza”.

Usato da sempre e in tutte le culture, esso non tramanda, però, né un sapere consolidato né tantomeno dogmatico, ma offre, a seconda delle situazioni o dei contesti storici, stimolanti chiavi di lettura di ciò che accade.

Lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616) diceva che i proverbi sono le “frasi corte disegnate dalle esperienze lunghe”, ovvero dalle esperienze dei popoli, tant’è che di modi di dire è impregnata la storia di tutte le culture, ad ogni latitudine.

La storia dei proverbi è più antica di qualsivoglia, primordiale forma di scrittura, anzi: proprio per la sua capacità di restare impresso, ora come monito, ora come insegnamento, il proverbio può considerarsi uno dei primissimi tentativi (ben riuscito, visti i risultati) di tramandare, all’interno di sistemi interpersonali e intergenerazionali, norme e regolamenti di vita; tant’è che se ne rinviene un ampio uso sia nella tradizione ebraica che in quella araba.

Tuttavia, non possono essere presi ad esempio per tramandare verità assolute, data la singolare proprietà di smentirsi l’un l’altro. Si prenda, come esempio, il detto “Chi fa da sé, fa per tre” che contrasta palesemente con quello che recita “L’unione fa la forza”, oppure i proverbi contraddittori “Chi troppo vuole nulla stringe” e “Chi non risica non rosica”.

Insomma: nulla di troppo serio, ma nemmeno di troppo leggero… questo è lo spirito col quale mi accingo a proporvi questa raccolta di proverbi dialettali italiani, aventi per protagonisti i “matti”. Così come i proverbi ci raccontano le “esperienze dei popoli”, allo stesso modo vorrei raccontarvi, attraverso questa raccolta, l’esperienza dei popoli rispetto al tema della salute mentale.

Fondendo, cioè, la tradizione, l’esperienza, i luoghi comuni, i detti e i non detti, la storia, la filosofia, le leggende dipingerò un inedito quadro, neanche troppo astratto, che parli di follia.

Parlando di quadri, credo proprio che la follia la possiamo paragonare ad un quadro astratto, dove l’autore dipinge ciò che sente ed ognuno ci vede ciò che vuole.

Analizziamo, ora, un proverbio della Calabria:

“FARE ’U FISSA PPE’ ’UN JIRE ALLA GUERRA” (Fare il fesso per non andare in guerra).

I Greci erano finalmente pronti per partire all’attacco di Troia: una gigantesca flotta di navi era pronta per salpare e i guerrieri più valorosi dell’Ellade già scommettevano su chi avesse ucciso più nemici ed erano impazienti di partire. Ma ne mancava uno, forse il più importante, uno che avrebbe sicuramente giocato un ruolo importante nella battaglia: Ulisse. Ma come mai non si era presentato?

Uomo, prima ancora che eroe, non voleva lasciare la sua famiglia (anche perché un oracolo gli aveva predetto che, se fosse partito per la guerra, sarebbe rimasto lontano da casa per ben vent’anni) e allora si finse matto.

Quando Agamennone e Menelao giunsero ad Itaca per parlargli, lo videro in condizioni pietose: vestito di poveri stracci, conduceva su e giù per la spiaggia un aratro, seminando sale. Non credettero ai loro occhi: il valoroso e potente re di Itaca che farneticava come un pazzo!

Tornarono indietro con la coda fra le gambe, ma il racconto non convinse Palemede, figlio di Nauplio, re di Eubea, e nipote della danaide Amimone.

Palamede si recò a Itaca, prelevò dalla sua culla il piccolo figlio di Ulisse, Telemaco, e lo posò proprio davanti all’aratro.

Se il re di Itaca fosse davvero impazzito, non si sarebbe fermato davanti al piccolo Telemaco.

Invece Ulisse si fermò e venne smascherato, così non poté fare altro che indossare l’armatura e partire per la guerra.

Ma Ulisse non dimenticò e, tempo dopo, durante la guerra di Troia fece in modo che Palamede venisse accusato di tradimento, grazie ad una lettera falsa fatta ritrovare nella sua tenda.

Palamede fu condannato a morte e venne ucciso.

Magra consolazione, per Ulisse, poiché questa vendetta non gli impedì di tornare a casa dopo vent’anni di una lunga… odissea!

 

Volete leggere gli altri articoli sui proverbi in Salute Mentale?

Eccoli qui, in ordine di pubblicazione:

1) Maggio di matti e somari

2) Rosso maledetto

3) Quel pazzo di Ulisse

4) Le uova di Giorgio Cattaneo