Lavoro: l’ageismo colpisce gli infermieri, tra esclusione, stereotipi e carenza di tutele
L’invecchiamento della popolazione mondiale ha effetti diretti su molti settori, incluso quello sanitario. Negli ultimi decenni si è registrato un costante aumento dell’età media degli infermieri, un fenomeno evidente in diversi paesi sviluppati. In Nuova Zelanda, per esempio, l’età mediana degli infermieri è passata da 42,6 anni nel 1998 a 46 nel 2019. Lo stesso trend si osserva in Australia, Stati Uniti, Canada e Regno Unito, dove la percentuale di infermieri con più di 50 anni è in continua crescita (WHO, 2016; NCNZ, 2019).
Questo cambiamento demografico, che riflette l’invecchiamento della forza lavoro in generale, comporta sfide e opportunità. Se da un lato si teme una possibile carenza di personale a causa dei pensionamenti, dall’altro gli infermieri senior rappresentano una risorsa preziosa per il sistema sanitario, grazie alla loro esperienza, conoscenze e capacità di mentorship nei confronti dei colleghi più giovani.
Il problema nascosto: l’ageismo nei confronti degli infermieri anziani
Nonostante il contributo degli infermieri più anziani sia riconosciuto in termini teorici, nei fatti molti di loro si trovano a subire discriminazioni legate all’età, note come ageismo. Si tratta di stereotipi, pregiudizi o comportamenti discriminatori rivolti a una persona per via della sua età, spesso mascherati da atteggiamenti paternalistici o da una presunta “razionalizzazione” delle risorse. L’ageismo può essere esplicito o implicito e si manifesta a diversi livelli: interpersonale, organizzativo e sociale.
Una revisione sistematica della letteratura internazionale ha analizzato l’impatto dell’ageismo nei contesti lavorativi degli infermieri anziani, offrendo una panoramica chiara e preoccupante. Innanzitutto, non esiste una definizione univoca di “infermiere anziano”: alcuni studi fissano il limite a 50 anni, altri a 55 o 60. A prescindere dalla soglia, emerge una realtà comune: molti infermieri in età avanzata si sentono svalutati, esclusi dalle decisioni organizzative e privati di opportunità di crescita professionale.
Percezioni distorte e carenza di supporto: il quadro nei reparti
I dati raccolti mostrano che spesso c’è una discrepanza significativa tra l’autovalutazione degli infermieri anziani e la percezione dei loro dirigenti. Se da un lato molti professionisti senior sono orgogliosi della propria esperienza clinica e della capacità di gestire situazioni complesse, dall’altro i manager tendono a non valorizzare queste competenze e a non fornire supporto concreto per il proseguimento della loro carriera (Letvak, 2003; Fragar & Depczynski, 2011).
In alcuni casi, gli infermieri anziani vengono persino invitati a ridurre le proprie aspettative professionali o a rinunciare a ruoli di responsabilità. Questo tipo di approccio, basato su stereotipi negativi, ha effetti diretti sul benessere emotivo dei lavoratori, sulla loro soddisfazione e sulla decisione di abbandonare anticipatamente la professione (Walker & Clendon, 2013).
Inoltre, l’esclusione dagli aggiornamenti formativi e dai processi di riorganizzazione aziendale aggrava la percezione di inutilità e isolamento. Tali dinamiche sono state associate a una maggiore intenzione di lasciare il lavoro, a un calo della produttività e a difficoltà nei rapporti con i colleghi più giovani (Bilinska et al., 2016; Cadiz, 2010).
Flessibilità e inclusione: cosa serve per trattenere gli infermieri anziani
Molti infermieri senior scelgono di continuare a lavorare anche oltre l’età pensionabile, spesso per ragioni economiche. Tuttavia, per garantire la loro permanenza attiva, serve un cambiamento nelle politiche organizzative. Gli studi evidenziano che fattori come un ambiente lavorativo inclusivo, relazioni positive con i colleghi, riconoscimento del proprio ruolo e possibilità di flessibilità oraria sono determinanti nel prolungare la vita lavorativa (Nurmeksela et al., 2022; Clendon & Walker, 2016).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2021) suggerisce tre direttrici per contrastare l’ageismo: leggi e politiche specifiche, attività formative e interventi intergenerazionali. Alcuni settori hanno sperimentato con successo pratiche inclusive come adattamenti ergonomici, supporto tecnologico, programmi di aggiornamento personalizzati e promozione della collaborazione tra generazioni (Marcaletti et al., 2023; Nedeljko et al., 2023).
Tuttavia, nel settore infermieristico resta un vuoto: mancano strategie concrete per combattere l’ageismo e non esistono studi approfonditi sull’efficacia di politiche organizzative in tal senso. È essenziale avviare ricerche mirate e sviluppare programmi di supporto per creare ambienti che favoriscano la valorizzazione degli infermieri anziani e contrastino attivamente ogni forma di discriminazione.
Conclusioni: valorizzare l’esperienza, garantire equità
Il problema dell’ageismo nei confronti degli infermieri anziani non è solo una questione etica, ma anche strategica. Ignorarlo significa rischiare di perdere una parte fondamentale della forza lavoro sanitaria, proprio mentre il fabbisogno di personale qualificato aumenta. Servono politiche inclusive, interventi formativi e un cambiamento culturale che riconosca il valore dell’età, promuova la collaborazione tra generazioni e garantisca a ogni infermiere pari dignità e opportunità. Solo così il sistema sanitario potrà affrontare le sfide future con professionalità, equilibrio e giustizia.