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Emigrazione infermieristica: quando il dazio lo paga chi resta

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 12/04/2025

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Ne sentiamo parlare ogni giorno da quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha messo piede alla Casa Bianca: i dazi.

Una ricerca molto rapida li definisce come “imposte indirette applicate sui beni e servizi che attraversano i confini di uno Stato, principalmente sulle importazioni. Il loro obiettivo principale è proteggere l'economia nazionale dalla concorrenza estera, rendendo i prodotti stranieri più costosi rispetto a quelli locali”.

Insomma, se voglio spingere i cittadini della mia nazione a preferire un prodotto fabbricato in loco, metto i dazi sullo stesso prodotto d’importazione; questo costerà di più, il cittadino dovrebbe preferire quello fatto in casa e quello d’importazione subirebbe un aumento di prezzo che potrebbero permettersi in pochi, decretandone di fatto il crollo o quasi delle vendite. Protezionismo in buona sostanza, sulle cui ragioni, effetti e benefici o meno sorvoliamo ma che, nelle intenzioni, mira a trattenere in casa produzioni e di conseguenza professionisti.

Un’altra rapida ricerca riporta che “nel 2023, sono emigrati all'estero circa 6.000 infermieri italiani” ma i dati ad oggi parlano di alcune migliaia in più. E le ragioni ormai sono più che note: migliori condizioni di lavoro, possibilità di carriera, stipendi, considerazione sociale, solo per citarne alcune. Gli effetti di questa scelta sono devastanti per il SSN, che conta ormai decine di migliaia di posti inoccupati e non riesce a fermare questa emorragia con interventi strutturali, rapidi e forti.

E allora mi viene da pensare: e se i dazi si potessero applicare anche alle professioni, ai professionisti?

Non possiamo chiamarli dazi, si realizzano all’inverso ma di fatto, al momento, esistono. Incentivi di ogni tipo vengono infatti offerti agli infermieri italiani che decidono di accettare offerte di lavoro in paesi EU ed Extra EU, creando un flusso migratorio continuo. L’esatto contrario di quel che si fa imponendo i dazi sulle merci provenienti dall’estero. Offerte che le aziende del Servizio Sanitario Nazionale e tanto meno dei Servizi Sanitari Regionali, non possono minimamente offrire o avvicinare nemmeno ricorrendo alla contrattazione decentrata, a causa della consistenza delle risorse destinate ai rinnovi contrattuali simili ai barattoli della Nutella vuoti: ne rimane qualche traccia sul fondo e sulle pareti.

Ma se è vero che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”, se non si capisce che le prestazioni sanitarie sono erogate dai professionisti sanitari e che questi devono essere incentivati per continuare a farlo o per intraprendere gli studi in questo ambito, come potrà continuare ad essere applicato l’articolo 32 della Costituzione?

E allora perché non pensare anche a una politica fiscale di favore nei confronti dei professionisti della sanità, una politica protezionista insomma che renda conveniente per un infermiere rimanere a lavorare in Italia? Perché non pensare a questo dazio alla rovescia? Ed in effetti, "la valorizzazione del personale medico e sanitario attraverso la revisione delle retribuzioni e l’introduzione di indennità di funzione per settori di disagio (es. emergenza-urgenza), oltre a incentivi fiscali", sono tematiche affrontate durante le discussioni sul documento conclusivo dell’indagine conoscitiva svolta dalla XII Commissione Affari sociali della Camera sul riordino delle professioni sanitarie appena approvato.Non sono un economista e la mia ignoranza in materia è pari almeno a quella di un terrapiattista, ma di una cosa sono certo: se non si fa qualcosa, saranno dazi amari per tutti.

 

 

 

Andrea Tirotto