Quel giorno che ho sbagliato… e ho imparato
Avevo 28 anni. Era un lunedì qualunque, e io un infermiere giovane, pieno di quella fame che si ha all’inizio: fare, dimostrare, non deludere. Ricordo ancora il profumo del caffè all’ingresso del reparto, il rumore delle ciabatte dei pazienti nei corridoi, le flebo che gocciolavano come se nulla potesse andare storto. E invece.
Era un turno carico, ma niente che non sapessi gestire. Eppure, lo sbaglio è arrivato lo stesso. Silenzioso, preciso, e soprattutto mio.
Nella stanza 7 c'erano tre pazienti. Uno stava morendo, uno delirava, l'altra era lucida e diabetica. Le terapie erano tutte pronte, allineate. Mi muovevo con sicurezza, forse troppa. E fu allora che confusi due flebo: una era solo fisiologica, l'altra un antibiotico. Trasparenti, uguali agli occhi frettolosi di chi pensa di avere tutto sotto controllo.
Me ne accorsi mezz'ora dopo. Stavo scrivendo le somministrazioni e qualcosa non mi tornava. Ho ricontrollato tutto. Il codice. Il lotto. Il nome. Il freddo mi salì alla schiena. Sbagliato paziente.
In quel momento il tempo si è fermato. Il rumore del reparto è scomparso. C'ero solo io e quel nodo allo stomaco. Il mondo clinico non è fatto solo di manovre corrette. È fatto anche di silenzi pieni di paura.
Non ho cercato scuse. Ho avvisato il medico, la coordinatrice, ho controllato il paziente. Tutto bene, nessuna reazione. Ma io, dentro, non stavo bene affatto. Quella notte non ho dormito. Non per paura delle conseguenze, ma per il peso.
Il giorno dopo, prima ancora di entrare, pensavo di non essere tagliato per questo mestiere. Ma poi un collega, più anziano, mi disse: "Hai fatto la cosa giusta. Hai sbagliato, ma hai avuto il coraggio di dirtelo addosso, non addosso agli altri. Non fuggire da questo errore. Portalo con te."
Da allora, non ho più lavorato nello stesso modo. Controllo, ricontrollo, ascolto quel piccolo allarme dentro che dice: “frena”. Ho imparato a rallentare anche quando tutto mi chiede di correre.
Non ti insegnano a gestire i tuoi errori quando studi infermieristica. Ti insegnano come evitarli. Ma non è la stessa cosa. Perché quando succede, ti cambia.
E oggi, se mi capita di vedere un giovane collega in difficoltà, lo guardo negli occhi e gli dico quello che avrei voluto sentirmi dire allora:
"Puoi aver sbagliato, ma non sei il tuo errore. Sei quello che scegli di imparare da esso."
Vent’anni dopo, continuo a portare con me quella flebo trasparente.
Non per rimproverarmi. Ma per ricordarmi che ogni gesto, anche il più semplice, può fare la differenza. E che dietro ogni camice, c'è sempre una persona che sta imparando a essere migliore.