L'infermiere come ostacolo all'evoluzione infermieristica
Chi è l'infermiere? Qualcuno se lo è mai chiesto? Io un miliardo di volte; ed altrettante volte avrei voluto chiederlo un po' a chiunque, dal vicino di casa, all'uomo alla fermata del bus, all'utente che che attende ore al pronto soccorso ai miei pazienti durante le ore di dialisi; ed infine lo vorrei chiedere agli infermieri, chi è l'infermiere.
E' risaputo che di noi si dice di tutto, un po' perché ancora vittime consapevoli taluni, meno consapevoli altri, dei retaggi culturali del passato, un po' perché la nostra evoluzione non è stata “pubblicizzata”abbastanza. Ci siamo “evoluti”in silenzio, sottotono, senza che nessun Darwin spiegasse il nostro divenire o, che qualcuno obiettasse la nostra evoluzione per l'anello mancante; perché Sì, nella nostra genesi l'anello mancante c'è (forse anche più di uno): la mancanza della consapevolezza di sé, di noi.
Da dove lo deduco se, non ho mai rivolto a chicchessia la domanda in questione?
Basta guardarmi intorno e le deduzioni arrivano da sé; ma quello che più mi ha illuminato, e mi ha permesso di fotografare perfettamente la classe infermieristica, è stato leggere uno degli articoli qui pubblicati su questa testata, e per l'esattezza “I paradossi della professione infermieristica narrati dai banchi dell'Università”: dove Ivano, studente in Infermieristica, espone le sue amare riflessioni sul suo percorso di studi, su questo mondo ibrido, dove si discute di competenze avanzate, di comma 566 e allo stesso tempo si ritiene fondamentale eseguire il rifacimento del letto accessoriato di angolo a precisione millimetrica.per rileggere la lettera di Ivano clicca qui
Alla lettera di Ivano, hanno risposto in tanti, l'interazione ha fruttato ben 193 commenti, che sono arrivati un po' da chiunque, dall'infermiere all' Oss, passando per la suora ed il cittadino comune.
In un articolo e nei suoi botta e risposta ho trovato tutto il “macrocosmo” all'interno del quale si muove l'infermiere. Qui la risposta alla mia domanda: Chi è l'infermiere? Ovviamente non ho trovato la classica risposta istituzionale, la recita delle quattro righe del nostro profilo professionale, ma chi è l'infermiere per ognuno di quelli che hanno interagito con Ivano.
Tanto per cominciare, leggendo tutti i 193 commenti mi sono dilettata a fare una sorte di PRO IVANO e CONTRO IVANO , giusto per avere un primo dato, che con amarezza, definisco svilente, visto che senza grandi sorprese, vincono i Contro Ivano.
Non che non me l'aspettassi, anzi prevedevo già il contenuto dei commenti, amari, avvilenti, che mi danno sempre più la netta sensazione che il male si annidi nelle nostre infermerie, il male è dentro di noi e sfocia in un conflitto pseudo generazionale.Gli infermieri e il difficile confronto generazionale
Leggerli tutti questi commenti è stato come scattare una fotografia con una polaroid, inizialmente sfocata, per poi apparire ai miei occhi sempre più nitida.
La fotografia della classe infermieristica, ci siamo tutti, l'idealista, l'illuso, il disilluso, il riluttante, il vecchio, il nuovo ed i ripetenti; la vecchia generazione tronfia di “esperienza” congiunta ad una assurda riottosità al cambiamento, la nuova generazione che si barcamena tra ciò che aspira ad essere e ciò che non riesce a divenire in una angosciosa frustrazione.
Quando una categoria è spaccata in due come la nostra,con tendenza all'immobilismo, beh, non so se riusciremo mai a fare grandi passi.
Cominciamo dalla radice di tutti i mali : l'Università.
Come ben ci fa notare Ivano, di Università i nostri atenei hanno ben poco, se non l'insegna fuori, come pensare di essere ad Hollywood e poi ritrovarsi a Cinecittà. All'interno resiste bene il vecchio corso regionale, gli insegnanti che siano essi medici o infermieri prestati all'insegnamento, poco cambia. I medici sono convinti di dover somministrare due nozioncine ai “praticoni” di trent'anni fa, gli infermieri che insegnano, sono ancora legati all'angolo del lenzuolo, rigorosamente a 45°, angolo perfetto per un infermiere perfetto; io per prima, ne sono stata terribilmente testimone di questo scempio.
E quando il male è alla radice, come volete che evolvano le nuove generazioni? Il cambiamento, semmai riusciranno ad ottenerlo, sarà solo grazie alla loro buona volontà, alla capacità personale di distinguesi, uscire dagli schemi, di informarsi.
Giovani infermieri disorientati, tra quello che dovrebbero essere e quello che non riescono ad affermare, esempio ne è Ivano.
Ivano che con naturalezza esprime il suo disagio e con la stessa sconcertante naturalezza viene attaccato, denigrato. I commenti che leggo sono carichi di rabbia, gretti. Nascondono una profonda ignoranza su tutto quello che ci riguarda, profilo, evoluzione; c'è una grande confusione tra competenze e mansioni, come se vent'anni di riforme non fossero mai passati. L'infermiere che non sa chi è l'infermiere.
Il consiglio più carino che gentilmente hanno pensato di dare ad Ivano è stato “Cambia lavoro”.
E sì, se un giovane studente, deluso dalle aspettative tradite, che ben sa chi è l'infermiere nell'accezione moderna (moderna si fa per dire, sono passati vent'anni dal profilo), deve cambiare “mestiere”. Mestiere e non professione, il gergo usato è indicativo del livello di cultura e consapevolezza di chi attacca Ivano.
C'è una cara e vecchia generazione che si è trincerata dietro alcuni cliché che, usa come come meglio può per giustificare una certa ignoranza, una incapacità di adattamento a ciò che diviene, fermi alla lanterna; ed in fondo non c'è luce in quello che dicono e che fanno, ed anche la lanterna sta per spegnersi.
La buona sempreverde Florence Nightingale è il principio di tutti i luoghi comuni, quando qualcuno parla di professionisti della salute, protocolli, linee guida e competenze avanzate, il primo commento che arriva sul primo binario è : “L’assistenza è un arte; e se deve essere realizzata come arte, richiede una devozione totale e una preparazione, come qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello Spirito di Dio. E’ una delle belle arti, anzi la più bella delle arti”.
E da qui (e non voglio soffermarmi sulla grammatica di chi scrive) è tutto un susseguirsi di :
“ci vuole esperienza, la teoria non serve”, “perché non ti iscrivevi a Medicina”, “volete fare i dottori”, “ci vuole umiltà”, “il corpo è il tempio di Dio”, “il giro letti è alla base dell'assistenza” passando per “Pulendo il comodino ho sviluppato l'occhio clinico”( sarebbe interessante che anche i medici si allenassero nella pulizia dei comodini visto la peculiarità di questa attività, ma funziona con tutti i comodini?) al “si è fatto sempre così”, “questo lavoro è una missione, per farlo ci vuole vocazione, sole, cuore e amore”.
Mi fermo qui, potrei continuare all'infinito.
Adesso potremmo farci insieme una risata su questi simpatici ritornelli, se non fosse che sono il sintomo di una generazione immobile, che è rimasta ancorata ad una concezione di assistenza che è riluttante all' evoluzione dell'infermiere da venti anni a questa parte, e dico vent'anni, non dall'oggi al domani.
Io una spiegazione me la sono data: c'è una buona parte della classe infermieristica che non ama prendersi una benché minima responsabilità. Evolversi vuol dire essere autonomi, autonomia equivale a responsabilità del proprio operato, e questo spaventa, o perché non si è in grado di assumersi la responsabilità in quanto consci di mancare di un adeguato substrato teorico – pratico, o perché è molto più comodo fare meno, meno faccio, meglio è, alla fine che rischio corro a togliere un pannolone?
Piani di assistenza,dimissioni infermieristiche? Meglio il giro letti, l'angolo del lenzuolo, e la distribuzione di due pillolette.
Meglio correre lungo la corsia con in mano una padella ed un pappagallo. Se rimango defilato non incorro in nessun errore pensano distrattamente, perché non hanno capito che mentre si dilettano a misurare l'angolo del lenzuolo con il goniometro, in caso di omissione, alla luce delle nuove competenze, nelle aule dei tribunali ci finiscono dritti dritti.
Il danno? L'equipollenza senza essere equipollenti.
Questo commistione di infermieri, vecchi, nuovi e semi nuovi andava gestita come in Inghilterra, infermiere “generico”, percorso di studio semplice: assistenza di base, infermiere specializzato e competenze avanzate.
Invece il risultato di questa immane confusione è una categoria spaccata, frantumata, da una parte chi si tiene ben lontano dall'evoluzione, dall'altra chi chiede a gran voce le competenze avanzate ed in mezzo l'Ipasvi, che non prende posizione, anzi tende a verso il vecchio, tenendoci a terra, fermi, immobili, mente inesorabilmente, quasi come una beffa avanzano gli Oss.
Una categoria così lacerata, disunita, che dipende da un Ipasvi inerme,potrà mai evolvere davvero? Ve lo chiedo e me lo chiedo tutti i giorni, amareggiata, sconfortata.
Se dovessi trasmutare la fotografia che ho provato a fare della nostra categoria con una vignetta, immagino un infermiere che ha ali per spiccare il volo, ma da un lato il vecchio pone un macigno che lo tiene a terra e gli sussurra : "Ci vuole umiltà" , dall'altra l'Ipasvi tenta di spezzargli un'ala.
Il vero problema siamo noi, gli infermieri, siamo l'anello mancante, siamo il vecchio che toglie aria al nuovo, siamo il male che fagocita noi stessi, non ne usciremo vivi.