Sardegna. Approvato il riordino della rete ospedaliera del Servizio Sanitario Regionale
Sardegna.
Approvato il riordino della rete ospedaliera del Servizio Sanitario Regionale
In parte, ne avevamo già parlato nell'articolo del 19 novembre scorso (Leggi l'Articolo).
Con la DELIBERAZIONE N. 6/15 DEL 2.2.2016, la “Proposta di ridefinizione della rete ospedaliera della Regione Autonoma della Sardegna” (Leggi la Delibera) diventa definitiva ed il progetto di riorganizzazione in esso contenuto diventa pienamente operativo.
Il riassetto si è reso necessario al fine di rendere il Servizio Sanitario Regionale maggiormente rispondente alle esigenze dei cittadini, razionalizzandone nel contempo il costo con particolare riferimento alla dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente utilizzati a carico del Servizio Sanitario Regionale, uniformandolo ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, di cui 0,7 per la riabilitazione e lungodegenza post-acuzie, garantendo il progressivo adeguamento agli standard previsti nell’arco di un triennio.
Le ragioni economiche prima di tutto, hanno imposto un’azione forte e decisa, tanto più che le relazioni presentate in tante occasioni dall’Assessore Arru, raccontano di una spesa oltremodo ingiustificata rispetto ai risultati qualitativi attesi e che divora quasi la metà di tutto il bilancio regionale.
I posti letto quindi come prima causa di un deficit economico divenuto negli anni incontrollabile; volutamente incontrollabile verrebbe da dire perché si sa, l’ambiente della salute in tutto il bel paese è fonte di interessi incrociati e di garanzie elettorali di non poco conto. E’ curioso allora che nel nome della collaborazione con gli arabi ereditata dalla passata amministrazione, si consenta l’apertura a Olbia di un ospedale privato finanziato dal Qatar, che apre quasi 300 posti letto per alcune specialità, posti letto che dovranno essere riassorbiti nel numero complessivo regionale, a danno del pubblico entro il 2018 come previsto dal decreto sblocca Italia. Ci pare più che altro una sperimentazione di cessione di sanità pubblica, tanto più che nel nome del concetto guida di “rete” che anima il riordino dell’offerta ospedaliera, l’apertura di Olbia avverrà a discapito di specialità già operanti e avviate nel territorio del nord Sardegna.
La regione si attende un risparmio in tre anni da 134 milioni di euro che deriveranno anche dalla riorganizzazione delle cure territoriali, dalla nascita della centrale unica di acquisto e dalla istituzione di una nuova azienda, l’Areus che si occuperà dell’emergenza urgenza.
Il 118 in Sardegna esiste ed opera dal 1999 e nel tempo è migliorato e si è evoluto. Certo, permangono una serie di criticità legate alla copertura del territorio, alle carenze del servizio di elisoccorso e alla uniformità dei contratti del personale addetto; tutte cose note per risolvere le quali non ci si aspetterebbe la soluzione di creare stipendi per una nuova dirigenza. Soluzione alquanto in antitesi con gli obbiettivi di bilancio si osserva. In tanti hanno chiesto conto delle ragioni di risparmio derivanti dalla nascita dell’Areus ma non sono mai arrivate risposte in merito; nessuna risposta è arrivata neanche quando si è chiesto di sapere perché la nascita dell’Areus dovrebbe produrre lo scatto qualitativo che sarebbe irraggiungibile con l’attuale organizzazione. Per questo ci toccherà aspettare ma da infermieri, speriamo che in termini di qualità, si voglia agire istituzionalizzando l’autoinfermieristica, strumento eccezionale per l’opera di filtro verso il pronto soccorso, vera sfida per la quale non rileviamo importanti azioni. Così come non abbiamo sentito parlare di See & Treat e di riorganizzazione in genere dell’assistenza, vero strumento di controllo, filtro e indirizzo del paziente bisognoso.
L’approvazione della riforma dovrebbe sbloccare il trasferimento di “250 milioni da parte dello Stato per l’edilizia ospedaliera”. E questo diventa argomento di coercizione della libertà di giudizio delle amministrazioni locali che a fronte di una sottocatalogazione del proprio presidio, vengono ammansite con la promessa di mega ristrutturazioni e mega realizzazioni di nuovi ospedali la cui utilità è sconosciuta ai più. (Articolo Quotidiano Sanità)
Insomma cambia tutto o non cambia nulla? Proviamo a metterci nei panni di un paziente colpito da una patologia cronica. Guarda caso le patologie croniche sono una delle voci più importanti nel conto della richiesta di cura e assistenza e si capisce bene perché; le cure migliorano e l’attesa di vita si allunga notevolmente. Un paziente di questo tipo, parzialmente allettato ad esempio che necessita magari della sostituzione del catetere a causa di un’ostruzione che crea un globo vescicale, oggi non ha accesso ad un servizio di assistenza territoriale che permetta l’invio a domicilio di un infermiere che risolva il problema. Insomma, una visitina al pronto soccorso sarà l’unica via possibile, il 118 è gratuito, l’invio dell’ambulanza è obbligatorio perché agli infermieri che rispondono non è consentito negarlo e indirizzare verso altri servizi peraltro inesistenti; se poi alla visita in ps si riscontra anche una febbre, il pz viene giustamente inviato ad un ricovero per le cure che a domicilio non potrebbe praticare nessuno. Una giornata in corridoio in barella sarà il minimo sindacale finchè con calma e pazienza non si troverà un letto, così che il diritto alla salute tutelato dallo costituzione troverà forse rinnovata dignità.
Da oggi, con il riordino orgogliosamente approvato, come cambierà il percorso del nostro paziente? Non cambierà. Non cambierà per nulla e anzi potrà anche peggiorare posto che il numero di posti letto viene profondamente ridotto. E questa non è una deduzione che deriva dalla lettura delle carte ma anzi, è conseguente a una pubblica dichiarazione, fatta da uno degli attuali commissari di una delle asl sarde che non ha esitato a riferire che il fenomeno delle barelle nei corridoi durerà per parecchi anni ancora. Fenomeno che non potrà che aggravarsi essendo tutta la riforma concentrata sugli stabilimenti e non sull’assistenza. Nonostante infatti il secondo cardine del riordino riguardi proprio la riorganizzazione dei servizi di assistenza territoriali, non ci risulta l’istituzione dell’infermiere di famiglia e degli ambulatori infermieristici per esempio che come esperienze d’altri raccontano, sono un vero fattore innovativo che può condurre ai risultati economici attesi, per tutte le ragioni note agli addetti ai lavori ma che l’attuale amministrazione non ha avuto ancora il coraggio di acquisire come proprie. La sfida della sanità, in Sardegna come in tutto il paese, riguarda una rivoluzione complessiva del servizio sanitario che ha speranza di equità economica e tutela del diritto alla salute, spostando la sede di esercizio dall’ospedale al territorio. Questo ci consente di dire che non c’è una contrarietà preconcetta a progetti di riordino che accorpano e accentrano servizi per ragioni di efficacia, efficienza, demografia ed economia, anzi. Quello che però non possiamo tollerare è che questa sia l’unica via possibile ad un sistema che invece dovrebbe cessare di essere medicocentrico, ospedalocentrico e puntare invece sul concetto dell’assistenza domiciliare diretta. Perché è vero che c’è necessità di diagnosi e cura ma è altrettanto vero che assolto a questo compito, il servizio sanitario deve occuparsi di assistere il paziente e ciò non può che avvenire sul territorio, meglio ancora e domicilio al costo di un accesso domiciliare e per opera di quella figura a cui, nel lontano 1994 il legislatore ha deciso di affidare la responsabilità, ossia l’infermiere.
Andrea Tirotto