I permessi 104 non riducono le incentivazioni
Il Tribunale di Roma, IV sezione lavoro, ha emesso una sentenza che rafforza l'orientamento dei giudici del lavoro riguardo ai permessi per l'assistenza a persone disabili o per sé stessi (se disabili) secondo quanto previsto dall'articolo 33 della legge n. 104 del 1992. Secondo questa sentenza, tali assenze non possono influire negativamente sul quantum spettante a titolo di compensi incentivanti o premianti.
La sentenza fa seguito alla posizione assunta precedentemente dal giudice del lavoro di Catania in una sentenza del 2020. In entrambi i casi, si è ritenuto che l'operato delle pubbliche amministrazioni che escludono i giorni di permesso legge 104 dalla determinazione delle somme corrisposte come premi correlati alla performance sia "incomprensibile e discriminatorio."
La vicenda giudiziaria ha coinvolto l'Ispettorato nazionale del lavoro, in cui un dipendente beneficiario dei permessi legge 104 per l'assistenza a un familiare con grave disabilità ha agito in giudizio contro l'amministrazione. Il dipendente ha sostenuto che l'Ispettorato aveva erroneamente considerato i giorni di permesso come "giorni di presenza in servizio," alimentando una discriminazione evidente tra i dipendenti in situazioni simili, nonostante entrambi i gruppi perseguissero lo stesso obiettivo, ovvero la tutela del diritto alla salute.
Il giudice del lavoro romano ha stabilito che la finalità dei permessi accordati dalla legge 104 del 1992, sia per i dipendenti disabili che per quelli che forniscono assistenza a familiari disabili, è la medesima: garantire la tutela del diritto costituzionalmente garantito alla salute. Di conseguenza, ha dichiarato che l'operato dell'Ispettorato era discriminatorio.
La sentenza ha quindi stabilito il diritto del dipendente a vedere conteggiati i giorni di permesso ai sensi dell'articolo 33, comma 3, della legge 104 del 1992 nel calcolo dell'indennità di performance organizzativa e ha disposto che le spese legali siano coperte dal datore di lavoro.