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Lavoro notturno. Dal numero di turni a età infermiere. Ecco cosa deve valutare il medico competente

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 21/02/2024 vai ai commenti

FormazioneProfessione e lavoro

Siamo lieti di presentarvi "InfermiereNotturno", la vostra risorsa professionale nella sezione formazione, dedicata alla pratica infermieristica notturna. Questa rubrica, che sarà disponibile ogni lunedì, mercoledì e venerdì, fornirà approfondimenti specializzati su aspetti chiave della vostra professione.

 

La sorveglianza sanitaria è definita nell’articolo 2, comma 1, lettera m, del Decreto Legislativo 81/2008 come «insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa». Ovvero, il decreto garantisce la ricerca dell’equilibrio ottimale tra la tutela della salute del lavoratore e le condizioni tecniche per la produzione di beni e servizi, e qualora non sia possibile eliminare la fonte di rischi, si deve comunque agire per ridurli al minimo.

L’art. 28 del D.Lgs. 81/08 impone che la valutazione dei rischi debba riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato (il lavoro notturno, ad esempio), secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004. Nella pratica tutto ciò si traduce come un invito a considerare, nella valutazione dei rischi, la possibilità di interventi migliorativi ambientali ed organizzativi da una parte, mentre dall’altra occorre individuare le misure atte a ridurre al minimo i fattori di rischio a cui sono esposti i lavoratori.

Il medico del lavoro è chiamato a collaborare con il datore lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione aziendale alla valutazione dei rischi ai fini della programmazione della sorveglianza sanitaria.

Il sopralluogo

Il sopralluogo effettuato dal medico competente è atto a valutare sia le condizioni ambientali che organizzative in cui si svolge il turno notturno.

Condizioni ambientali

Perché vi siano delle condizioni ambientali ottimali, negli ambienti in cui si svolge il turno notturno:

andrebbe ridotta la rumorosità, poiché interferisce sulla concentrazione e sui livelli attentivi posti nell’effettuare le varie mansioni;

andrebbe modificata l’intensità dell’illuminazione, scegliendo la luce chiara per operazioni che richiedano un’elevata visione e riservando la luce rossa ad attività che non richiedano una visione particolarmente accurata.

Una tipologia di lavoro notturno che richiede un’attenzione particolare è il lavoratore in solitario, ovvero quel lavoratore che durante il turno di notte non ha l’apporto di nessuno, non ha un collega né un contatto diretto con altri lavoratori. Una condizione che crea stress psicologico per l’impossibilità di confrontarsi con qualcuno al momento di decisioni vitali per la vita altrui o per la paura di incorrere in infortuni o malori e non avere modo di comunicarlo e chiedere aiuto.

Ad esempio il lavoratore potrebbe trovarsi a distanza dal posto di pronto soccorso, in una zona non  accessibile o non coperta della rete di telefonia cellulare.

Queste difficoltà possono essere superate ricorrendo a quelle risorse tecnologiche attualmente disponibili e rappresentate da:

  • telefono cellulare;
  • ricetrasmettitore collegato a soggetti addetti ai servizi di sorveglianza;
  • trasmettitore di segnale di allarme con attivazione manuale;
  • trasmettitore automatico collegato ad un sensore di postura del lavoratore che si allerta in caso di posizione orizzontale protratta;
  • sistema a chiamata dalla centrale di ascolto che si allerta in caso di mancata risposta.

 

Condizioni organizzative

Il sopralluogo al fine di valutare le condizioni organizzative deve tenere contro che durante il turno notturno:

  • le squadre antincendio e di emergenza siano essere adeguate ed equivalenti in termini quantitativi e qualitativi alla tipologia di lavoro svolto di notte.
  • i servizi tecnici di manutenzione, in caso di impianti complessi ed a rischio elevato, si integrino nel sistema di sicurezza aziendale. Vanno anch’essi coinvolti richiedendo se non la loro presenza, almeno la reperibilità in caso di necessità.
  • in relazione ai ritmi di lavoro, siano disincentivate forme di lavoro che prevedano ritmi frenetici e senza possibilità di riposo favorendo invece un loro rallentamento per evitare che da un errore nasca l’infortunio. Introdurre brevi pause consente di “spezzare” sia ritmi particolarmente elevati che monotoni.
  • Evitare che al lavoro notturno siano adibito un numero ridotto di lavoratori con conseguente aumento del carico mentale o fisico in grado di innescare situazioni di stress legate all’elevata concentrazione e complessità dei compiti richiesti.

Analisi organizzativa della tipologia di turno. Il medico competente dovrà conoscere:

  • come è strutturato l’orario del lavoro notturno. Inizio, fine e durata, dati importanti per collegare il lavoro notturno ai ritmi circadiani e per verificare l’importanza della desincronizzazione in relazione ai diversi orari di lavoro: se, ad esempio, un turno notturno inizia alle 20,00 e termina alle 2,00 del mattino, interferirà meno con la sintesi di melatonina rispetto ad un turno che inizia alle 22,00 e termina alle 6 del mattino. La durata del turno va regolata sulla base della complessità del compito svolto: in situazioni lavorative ad elevata concentrazione psicologica e dove altrettanto elevato deve essere il grado di vigilanza (addetti al controllo del traffico aereo e ferroviario, sanità, sicurezza ecc.), come pure in quelle attività che comportano un elevato dispendio fisico (fonderie ecc.) o lavoro in solitario, la durata del turno andrebbe ridotta a 6 ore mentre per altre attività a minore richiesta psico-fisica il turno potrebbe essere anche di 10-12 ore.
  • Il tipo di turnazione. Ad esempio l’ultrarapida in anticipo di fase, M P N R R, consente di ridurre al massimo il numero di notti consecutive, viene garantito il riposo dopo il turno notturno, tra la fine del turno diurno e l’inizio del turno successivo ci sono 24 ore di riposo; limita l’accumulo del debito di sonno ed i ritmi circadiani sono scarsamente perturbati.
  • La regolarità del turno. Occorre distinguere i turni che presentano un andamento stabile (mensile, settimanale o quotidiano) dai turni che presentano avvicendamenti più irregolari dovuti, ad esempio, alla tipologia di turno adottato o alla carenza di personale oppure legato a necessità di natura produttiva. In linea generale quanto più un turno è stabile migliore è l’adattamento umano osservato.
  • direzione del turno: il passaggio del lavoratore da un turno all’altro può avvenire in senso orario (mattino-pomeriggio-notte) od in senso anti-orario (pomeriggio-mattino-notte); nel primo caso ci troviamo di fronte a turni con rotazione in “ritardo di fase2”.
  • numero di lavoratori coinvolti: più sono i lavoratori coinvolti, minori sono i turni che ciascun lavoratore effettua in un anno, come anche più contenuti sono le ripercussioni sulla salute a causa della desincronizzazione dei ritmi circadiani.
  • numero di anni di turno: diversi studi indicano come gli effetti sulla salute siano maggiori nei lavoratori impegnati per più di 20 anni in turni lavorativi notturni, Per questo motivo l’attenzione del medico del lavoro va rivolta anche alla stima dell’età media dei lavoratori che effettuano lavoro notturno; infatti i soggetti giovani dimostrano una migliore capacità di adattamento al turno notturno rispetto agli adulti (età > 50 anni). Con l’aumentare dell’età l’uomo tende a manifestare caratteristiche di “mattutinità”, nel senso che preferisce coricarsi presto alla sera e svegliarsi presto al mattino; inoltre il sonno diurno dopo il turno di notte tende a diminuire in termini di qualità e quantità con l’avanzare dell’età, come avviene del resto per la sintesi di melatonina, che decresce vistosamente dopo i 55 anni accompagnandosi alla ridotta espressione dei clock genes periferici. Queste considerazioni possono essere utilizzate per modificare gli schemi di turno in chi ha un’anzianità anagrafica > 55 anni ed un’anzianità lavorativa di turno > 20 anni, prevedendo o il passaggio al lavoro diurno o la riduzione del 50% del lavoro notturno.

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