Comma 566: intervista a Ivan Cavicchi: dove andiamo e perché? (parte seconda)
di Chiara D'Angelo
Riprendendo la prima parte dell’intervista a Ivan Cavicchi in merito al famoso, ormai, comma 566 della legge di stabilità, completiamo la pubblicazione del colloquio avuto con il professore.
Dopo aver esposto le sue perplessità sulla nuova norma e il percorso storico ed evolutivo della normativa e della pratica professionale degli infermieri, Cavicchi ci spiega quali sono gli scenari che il 566 aprirà, secondo lui, nella nostra realtà. Dalla sua disamina la preoccupazione per il futuro della professione è forte e concreta. Viene dunque spontaneo chiedersi: perché stiamo andando in questa direzione? Cavicchi ha le sue risposte a questo quesito…
Da cosa si capisce professore che il comma 566 è un atto irreale contro riformatore?
La cosa più evidente è che esso, non rimuovendo in alcun modo nessuna delle quattro contraddizioni che ho menzionato prima cioè post ausiliarietà, doppio demansionamento, decapitalizzazione precarizzazione del mercato del lavoro, si configura come una norma arbitraria che nei confronti dei problemi primari degli infermieri persegue finalità improprie, sbagliate e non pertinenti.
Ce lo può dimostrare?
Certamente... e mi creda non è così difficile come si pensa. Il significato contro riformatore del comma 566 viene fuori soprattutto perché controverte il cuore della L. 42/99 vale a dire il superamento della mansione quale postulato base per definire il compito dell’infermiere e quindi il suo lavoro. Mentre la L. 42/99 propone di ricostruire l’unità del lavoro infermieristico in un profilo superando la mansione quale porzione del compito, il comma 566 propone di decostruire il profilo andando dal compito alla mansione. Le espressioni “competenze avanzate” o “competenze specialistiche” o ancora “atti complessi” o per converso “atti semplici” sono modi eufemistici per riattualizzare l’idea di mansione. Atto, mansione, operazione sono praticamente la stessa cosa cioè sono “pezzetti” di un processo scorporabili dal processo. L’accordo sulle competenze avanzate soprattutto per le Regioni è giocato sul terreno della "redistribuzione” di singoli atti o mansioni o operazioni tra la professione medica e quella infermieristica e tra questa e altre figure professionali e il contrario arrivando, se il caso, fino alle badanti (delibera Emilia Romagna).
Ma perché? Per quali motivi soprattutto le Regioni vogliono recuperare la mansione?
L’obiettivo primario è di ottenere la massima flessibilità nell’impiego della professione in una organizzazione del lavoro a sua volta obbligata ad essere flessibile da esigenze di contenimento della spesa. La massima flessibilità dell’impiego di manodopera infermieristica si ottiene attraverso un gioco di demansionamento da una parte di qualcuno che costa di più e dall’altra di rimansionamento di qualcun altro che costa meno, operazione che si può fare solo scomponendo i profili disponibili. I profili se restassero dei compendi professionali per le Regioni sarebbero una rigidità che ostacolerebbe l’impiego flessibile della manodopera professionale.
E per le competenze specialistiche vale lo stesso ragionamento?
Anche il discorso delle competenze specialistiche conferma lo spirito contro riformatore del comma 566... non in ragione delle specializzazioni che già esistono e che a mio parere andrebbero una volta per tutte implementate come prevede L. 43/06, ma nel senso che è un altro modo oltre il demansionamento/rimansionamento di scomporre l’unità del profilo e per questa strada accrescere ulteriormente il grado di flessibilità della manodopera impiegata anche se, è bene saperlo, la specializzazione vincola molto l’allocazione dell’infermiere all’area di competenza di riferimento.
Ma io ricordo professore che lei in una nostra precedente intervista ci aveva parlato della necessità di rivedere l’attuale scomposizione del lavoro. Ricordo che ci ha parlato di organizzazione del lavoro tayloristica che avrebbe dovuta essere ripensata...
Mettendo insieme demansionamento/rimansionamento e specializzazione si arriva non a ridiscutere l’organizzazione tayloristica del lavoro come avrebbe necessitato la L. 42/99 ma al contrario ad esasperare il taylorismo delle organizzazioni in essere configurando un vero e proprio supertaylorismo, cioè la massima scomposizione del profilo professionale e quindi del lavoro infermieristico.
Scusi professore ci fa degli esempi pratici di supertaylorismo?
Se ammettiamo le quattro qualifiche della legge 43/06 (professionista, professionista specialista, professionista coordinatore, professionista dirigente) e a queste aggiungiamo le quattro specializzazioni già previste (infermiere pediatrico, infermiere psichiatrico, infermiere geriatrico, infermiere di area critica) con la possibilità di aggiungere altre specializzazioni semplicemente variando le “aree di competenza”, e a queste ancora si aggiungono gli infermieri rimansionati cioè con delle mansioni tolte ai medici, si ottiene una scomposizione del lavoro che oggettivamente accresce il grado di flessibilità dell’impiego della manodopera infermieristica ma che va a squilibrare l’intero sistema professionale soprattutto in rapporto alle altre figure professionali. A fronte ad esempio di un medico si possono avere almeno una decina di tipi di infermieri diversi. Questo è ciò che intendo per supertaylorismo.
Quindi questo secondo lei dividerebbe ancora di più l’universo degli infermieri?
Ma non bisogna avere paure delle differenze se le parti comuni sono chiare. Le differenze aiutano a rapportarci meglio alla complessità. Io temo che con il comma 566 passi sopra la testa degli infermieri un altro genere di differenza che è quella della discriminazione. A meno di rinominare tutti gli infermieri come rimansionati o specialisti, il che però configurerebbe solo una operazione nominalistica, si rischia di creare una nuova divisione interna tra gli infermieri rimansionati o specialisti e gli altri cioè gli infermieri comuni, cioè coloro che non accederanno nè al rimansionamento nè alla specializzazione, e che da quel che sembra saranno comunque la maggioranza; il che vuol dire che a scapito della categoria si tende a privilegiare una elite come del resto è stato fino ad ora con la dirigenza infermieristica. La massa degli infermieri in dietro e l’elite davanti.
Tornando alle competenze specialistiche sulle quali l’Ipasvi insiste molto, quasi dimenticando o nascondendo le famose competenze avanzate...
A differenza delle competenze avanzate fortemente volute dalle Regioni quelle specialistiche si configurano principalmente come una “rincorsa alle tecniche”. “Specialismo” e “tecnica” sono praticamente la stessa cosa. Va ricordato che le “tecniche” per la L. 42/99 fanno parte di un’opera assistenziale più vasta e quindi fanno parte del bagaglio professionale dell’infermiere. Esse quale risorsa restano ovviamente fondamentali, ma non possono essere le tecniche a configurare l’identità professionale dell’infermiere, pena la sua trasformazione da infermiere a tecnico e quindi pena un mutamento radicale delle epistemologie in gioco.
Ma in questo professore cosa c’è di male? In fin dei conti lo dice anche lei che le tecniche fanno parte del nostro bagaglio professionale...
Il comma 566 privilegiando in senso specialistico le tecniche tende a svalutare e a indebolire il discorso sull’assistenza e la nozione di assistenza che al contrario nella legge 42/99 è fondamentale fino al punto da essere la base identitaria della professione. La questione dell’assistenza che meriterebbe un ripensamento radicale si tende a confinarla dentro un “generico” infermiere di famiglia. Questo è in contraddizione con le tendenze epidemiologiche più volte descritte ad esempio da Bozzi che, al contrario, spostano l’asse dell’assistenza verso il luogo di vita delle persone, verso malati complessi, cronici, non autosufficienti per i quali l’assistenza molto più della tecnica è e resta la primaria risorsa.
Giusto per completare il quadro dei problemi del comma 566 cosa ci dice del costo zero? Per noi infermieri è una bella fregatura non crede?
Il comma 566 sancisce il costo zero come un limite incontrovertibile trasformando così il problema della decapitalizzazione del valore del lavoro infermieristico in un principio di legge che è un principio di compatibilità che la legge 42/99 non conteneva. Il comma 566, cioè il costo zero, inoltre va visto come un combinato disposto con il comma 584 in questo ruolo esso crea le condizioni per una ulteriore precarizzazione della professione infermieristica cioè stabilisce che la spesa per il personale non potrà superare fino al 2020 quella del 2004 meno l’1,4%. Anche per queste ragioni io sostengo che il comma 566 è un atto tanto irreale quanto contro riformatore.
Ma rispetto ai problemi di fondo della maggior parte degli infermieri in pratica che succederà?
E’ probabile che accada che a causa del recupero della mansione con il comma 566 venga abbandonata la strategia di implementazione del profilo che resta ancora oggi l’unico vero rimedio al demansionamento. Non implementando il profilo i cronici problemi di demansionamento degli infermieri non solo non saranno risolti ma probabilmente si aggraveranno. Non implementando il profilo si punterà a rimansionare l’infermiere attraverso le due strade, che dicevamo prima: le competenze avanzate e la specializzazione. Ma anche chi sarà rimansionato, con il costo zero e la restrizione degli organici, non sarà al riparo da problemi di demansionamento. Già oggi molti infermieri ad esempio dell’area critica sono demansionati. Il problema della carenza delle professioni ausiliarie non guarda in faccia nessuno, specialisti o non specialisti il demansionamento resta un problema generale che il comma 566 non affronta.
Lei ha parlato di controriforma e devo ammettere che sino ad ora nessuno di noi infermieri aveva pensato a questa eventualità; ma della legge 42/9 con il comma 566 non resta proprio niente?
A fronte di questa “irreale contro riforma” l’unico punto fermo della legge 42/99 che resta è quello del superamento dell’ausiliarietà. Ricordo che la prima formulazione dell’accordo sulle competenze avanzate da parte del Ministero della Salute, e che vedeva l’Ipasvi contraria, prevedeva di cedere alcune mansioni dei medici agli infermieri ma lasciandone la responsabilità ai medici. Successivamente questa formulazione è stata superata introducendo la responsabilità individuale dell’operatore che pur tuttavia resta una strada non priva di rischi. Ma la strada maestra per affermare l’autonomia professionale dell’infermiere a parte la responsabilità che bisognerebbe chiarire e normare, resta un altro genere di organizzazione del lavoro. La sensazione che si ha è che il comma 566 intenda, per riorganizzazione del lavoro, sostanzialmente la distinzione e la separazione tra “assistenza” e “clinica”. Ora a leggere tutte le dichiarazioni sul comma 566 tutti giurano che si resta nella logica della squadra, della multidisciplinarietà, del lavoro di gruppo, ma in tutta sincerità non è chiaro a nessuno come. Il quesito è come in una organizzazione del lavoro necessariamente comune a più professioni, “profilo” “compito” “mansione” e “autonomia” possano coniugarsi senza fare danni al sistema di relazioni interprofessionali. In ciò riemerge il nodo mai sciolto e quasi misterioso dell’organizzazione del lavoro. Nessuno dice quale organizzazione del lavoro prevede il comma 566.
E quali sono le sue perplessità a riguardo?
In un quadro supertayloristico il sospetto fondato che ho è quello che si voglia fare leva sulla separazione tra clinica e assistenza distinguendo nettamente i ruoli dei medici dai ruoli degli infermieri (“separati in casa”). La L. 42/99 non ha mai teorizzato l’autonomia professionale dell’infermiere come separazione tra clinica e assistenza, per la semplice ragione che per questa legge il malato è uno ed è unitario.
A questo punto è lecito chiedersi: perché? Perché fare il comma 566? Perchè sterzare bruscamente e fare una inversione ad “U” per tornare in dietro? Siamo per caso diventati matti? Lei che ci dice professore?
Per risponderle dobbiamo capire i moventi. I moventi per comprendere il comma 566, proprio come per gli omicidi, non riguardano le sue tecnicalità, ma le ragioni misteriose degli “assassini”, cioè di coloro che il comma 566 l’hanno voluto con tutte le loro forze. I moventi a monte del comma 566 riguardano più comprimari ma i due soggetti principali sono le Regioni e l’ipasvi. Il Ministero in tutta questa faccenda ha funzionato come burocrazia di intermediazione e devo dire, che mancando davvero un ruolo della politica, lo ha fatto nel modo più grigio e più burocratico possibile. I sindacati dal canto loro alla fine dei giochi si sono rivelati come dei semplici gregari, anche se a loro volta hanno grandi responsabilità soprattutto sul “non fatto”. Per Nursind il discorso è diverso ma solo perché è un sindacato giovane e quindi senza delle responsabilità storiche come hanno al contrario soprattutto i sindacati confederali.
Quindi Regioni, Ipasvi e sindacati storici, dico bene?
Sì dice bene. Chiunque di noi sa che tutto parte da alcune Regioni non da altri come qualcuno vuole farci credere, con delle motivazioni che non sono per nulla sovrapponibili a quelle che hanno indotto l’Ipasvi e i sindacati ad assecondarle e a sottoscriverle. Dietro al comma 566 vi è una vistosa strumentalità reciproca attraverso il quale le Regioni e il Governo si sono serviti dell’Ipasvi e dei sindacati e il contrario ma per scopi molto diversi.
Secondo lei chi ci guadagnerà?
Ho il timore fondato che in questo gioco chi ci guadagna davvero sono le Regioni e il Governo, chi ci perde davvero sono gli infermieri prima ancora dell’Ipasvi e del sindacato. Per le Regioni e il governo si tratta di risparmiare in tutti i modi possibili e per farlo hanno bisogno di rendere flessibile ciò che ora è rigido e di avere le mani libere sul terreno dell’organizzazione del lavoro e sull’uso del lavoro. Per l’Ipasvi soprattutto, ma anche per i sindacati, aver accettato di sostenere una proposta irreale che non si rapporta ai problemi veri dei suoi iscritti abbandonando una strategia riformatrice significa non avere niente in mano e quindi tentare il tutto per tutto per sopravvivere come gruppo dirigente che nel caso dell’Ipasvi, dopo quasi 20 anni di potere incontrastato si presenta ai suoi iscritti con un bilancio oggettivamente disastroso.
Sappiamo che lei professore con l’ipasvi ha avuto importanti rapporti di collaborazione ma che dopo le sue prese di posizione, proprio sulle competenze avanzate, si sono interrotti; cosa pensa in tutta sincerità dell’Ipasvi?
Non c’è bisogno di scomodare la sincerità per fare una analisi dei problemi dell’Ipasvi. L’Ipasvi checchè ne dica la sua presidente che mi ha diffamato alle spalle con le sue circolari dipingendomi come il nemico degli infermieri, per me è un oggetto di studio come qualsiasi altro. Oggi l’attuale quadro dirigente dell’Ipasvi è storicamente e indiscutibilmente coautore a proprio modo e insieme ai sindacati, di una profonda crisi della professione infermieristica che ripeto è accentuata ma non generata dalla crisi... e non è più in grado di governare le grandi contraddizioni degli infermieri di cui abbiamo parlato negli articoli precedenti. In particolare l’Ipasvi non è riuscita ad adempiere con una nuova e più avanzata progettualità al progetto di riforma rispetto al quale la L. 42/99 era solo il punto di partenza non il punto di arrivo. Cosa analoga vale per il sindacato per le sue peculiari competenze. Le iniziative tentate dall’ipasvi in questi anni sono ridicole come la proposta di legge sul ricambio generazionale, o la parificazione nominalistica dei Collegi agli Ordini, come sono drammaticamente imbarazzanti i suoi tentativi di negare il problema del demansionamento, le contraddizioni insite nel suo codice deontologico, la sua teoria dell’affrancamento, quindi il cavalcare strumentalmente il conflitto con i medici ecc. Per non parlare del tentativo costante di reprimere il dissenso, di marginalizzare la critica, di manipolare il consenso anche in modi spregiudicati. A rendere ancora più gravosa la posizione dell’attuale quadro dirigente dell’Ipasvi è ormai il peso soverchiante dei problemi legati alla trasparenza e all’incompatibilità sui quali dobbiamo ringraziare Nursind unico sindacato a mobilitarsi per questi problemi. Chi rappresenta gli infermieri non può votare politiche contro gli infermieri. La cosa più eclatante è stata la manifestazione di Nursind del 3 novembre organizzata contro il blocco contrattuale del governo e vista dall’Ipasvi come una manifestazione contro di essa. Per cui per me è chiaro che in questa situazione di grave e, per come la vedo io, di irreversibile delegittimazioni politica, l’Ipasvi provi a restare in campo tentando un cambio di strategia accettando per necessità di accodarsi ad un contro riformismo regionale che agli infermieri non porterà nulla di buono. Con dietro i sindacati che sostenendo l’Ipasvi sostengono in realtà loro stessi. In questi ultimi anni neanche sotto tortura hanno tirato fuori una idea.
Ma qual è la responsabilità politica dell’Ipasvi e dei sindacati nei confronti delle pretese delle Regioni?
Attraverso il comma 566 l’Ipasvi con i sindacati riconosce alle Regioni di fatto il potere di accrescere enormemente il grado di discrezionalità delle loro politiche nell’impiego della professione infermieristica e quindi accettano cinicamente ed egoisticamente che siano gli infermieri sul campo a pagarne le conseguenze. Questo gioco non può reggere. Tempo al tempo; quando gli infermieri si renderanno conto della trappola in cui sono stati cacciati, saranno dolori.
Insomma professore, mi pare di capire che se il comma 566 è un atto controriformatore nei confronti della L. 42/99 siamo dinanzi ad una bella discontinuità strategica, non le pare?
Il comma 566 suo malgrado pone un quesito inquietante che meriterebbe solo esso un congresso straordinario o la convocazione straordinaria degli stati generali: se sino ad ora non si è riusciti ad attuare fino in fondo la L.42/99 abbiamo per caso fatto il passo più lungo della gamba? Cioè la nuova idea di infermiere è una idea possibile o un’idea impossibile? O al contrario questa idea è impossibile per questo quadro dirigente ma sarebbe possibile per un altro quadro dirigente? In sintesi che si fa? Si va avanti o si torna indietro?
Caspita professore, quello che lei dice meriterebbe un congresso straordinario di tutti gli infermieri....
Mi pare che nessuno abbia voglia di fare dei congressi per discutere la strategia. L’Ipasvi e i sindacati appoggiando senza condizione alcuna il comma 566, anzi spacciandolo addirittura per una loro conquista, senza un mandato congressuale si prendono una grande responsabilità politica che alla categoria degli infermieri però può costare caro. Con il comma 566 è come se costoro sostenessero due cose:
- si è fatto il passo più lungo della gamba bisogna tornare indietro; con ciò spiazzando un intero progetto di riforma, ma anche alcune generazioni di infermieri;
- per come sono andate le cose noi che dirigiamo l’Ipasvi da quasi 20 anni non abbiamo nessuna responsabilità al riguardo, siamo stati semplicemente troppo ambiziosi e i problemi degli infermieri vengono da una crisi più generale, per cui non è colpa nostra, anzi siamo noi i salvatori della patria.
E’ così? Cosa dice l’analisi storica dei fatti?
Dice esattamente il contrario: il passo che si è deciso di fare negli anni '90 era giusto e necessario; esso è possibile a condizioni di dare corso ad una nuova progettualità riformatrice rispetto alla quale non vi è dubbio che l’attuale quadro dirigente dell’Ipasvi si è rivelato oggettivamente inadeguato. Dice anche che le responsabilità di chi ha diretto per 20 anni la professione sono oggettivamente innegabili.
Che fare quindi? O meglio cosa farebbe lei?
Rammenterà che più volte ho insistito sul problema della rappresentanza e del suo rinnovamento. Per me sarebbe più saggio cambiare il gruppo dirigente Ipasvi in funzione di un nuovo progetto riformatore anziché mandare al macero una intera categoria per permettere a chi ha fallito di sopravvivere ai propri fallimenti. Per me il progetto da mettere in campo, diversamente dal comma 566, deve essere il più realistico possibile cioè partire dai problemi degli infermieri e basarsi su una coevoluzione delle professioni e su una riforma del lavoro. Le proposte che ho avanzato in questi anni servono semplicemente a dimostrare che se qualcosa è impossibile per qualcuno non è detto che sia impossibile per tutti.
Personalmente dissento dallo spirito contro riformatore del comma 566 e questo non solo perché non voglio essere complice dell’ ennesima contro riforma che si abbatte sul nostro sistema pubblico ma è anche per dare le gambe ad un riformismo che nel caso degli infermieri ma non solo, è rimasto incompiuto Io sono per andare avanti non per tornare indietro.
Grazie professore, sapremo far tesoro delle sue parole.